giovedì 9 ottobre 2008

Un'altra politica per la Ricerca

Nella società del capitalismo cognitivo e della globalizzazione, la domanda di sapere esteso e condiviso è un nodo decisivo del conflitto sociale, perché sempre più fondativa di ogni richiesta non astratta di uguaglianza. Occorre, dunque un sistema pubblico di ricerca che esalti questa domanda anziché mortificarla. Studenti, docenti, ricercatori degli Enti pubblici, lavoratori della conoscenza sono soggetti portatori di questa fondamentale esigenza. Perciò, l'auspicata capacità di autogoverno democratico delle Università e degli Enti pubblici di ricerca può crescere e produrre effetti positivi per l'intera società, se si assume come pregiudiziale la lotta alla precarietà del lavoro intellettuale e alla parcellizzazione del sapere. \
Va perciò superata una visione del sistema dell'università e della ricerca fondata sulla crescente precarizzazione del lavoro e della formazione, che rende sempre più difficile il reclutamento dei giovani ricercatori, accompagnata da una frammentazione eccessiva del sistema didattico secondo la logica astratta di una (presunta) professionalizzazione precoce e affrettata. La proliferazione indiscriminata dei corsi di studio e degli insegnamenti (in parte corretta dal d.m. 270 22 ottobre 2004), e soprattutto delle sedi e dei poli, rischia di compromettere lo sviluppo di una ricerca e di una didattica di qualità. La riduzione di investimenti per la ricerca ha ulteriormente aggravato la situazione.
Il governo Berlusconi-Tremonti-Gelmini, al contrario, propone il suo progetto di dismissione dell'Università e della Ricerca pubblica con la legge 133 del 6 agosto 2008 che - attraverso la riduzione degli investimenti, il forte rallentamento del turn over, la possibilità per gli Atenei pubblici di trasformarsi in fondazioni private - prefigura un ulteriore blocco delle carriere e l'impossibilità di accesso per dottori di ricerca e assegnisti di ricerca, con il conseguente, ulteriore invecchiamento della classe docente. Le evidenti conseguenze saranno la riduzione del numero dei docenti, la fuga di massa dei nostri migliori cervelli all'estero, la costruzione di poche università elitarie e l'inevitabile aumento delle tasse d'iscrizione. Da ultimo, assistiamo in questi giorni alla mancata stabilizzazione dei lavoratori degli enti di ricerca, con un danno gravissimo anche di progetti da tempo avviati.\ Perciò vi invitiamo a essere presenti in piazza l'11 ottobre, per costruire insieme un'altra politica per la ricerca, un'altra Italia.

Cristina Accornero, univ. Torino; Mario Alcaro, univ. Calabria; Giorgio Baratta, univ. Urbino; Roberto Biorcio, univ. Milano-Bicocca; Davide Bubbico, univ. Salerno; Alberto Burgio, univ. Bologna; Giuseppe Cacciatore, univ. Napoli; Sandro Carocci, univ. Roma Tor vergata; Giovanni Carletti, editor; Marcello Cini, univ. La sapienza Roma; Fabio Denardis, univ. Salento; Angelo d'Orsi, univ. Torino; Dario Evola, Accad. belle Arti Roma; Paolo Fanti, univ. Basilicata; Eleonora Forenza, univ. di Bari; Dino Greco; Alexander Hobel, precario della ricerca; Massimo Ilardi, univ. Roma La sapienza; Domenico Jervolino, univ. L'Orientale Napoli; Guido Liguori, univ. Calabria; Igor Mineo, univ. Palermo; Carlo Montaleone, univ. statale Milano; Isidoro Mortellaro, univ. Bari; Giuseppe Panella, Scuola normale Pisa; Santo Peli, univ. Padova; Stefano Petrucciani, univ. di Roma La Sapienza; Francesco Pota, giornalista precario; Giuseppe Prestipino, univ. Siena; Massimo Sestili, insegnante; Pasquale Voza, univ. Bari; e altri

Nessun commento:

Posta un commento