sabato 6 novembre 2010


mercoledì 24 marzo 2010

Scuole e sanità invece che il Ponte i progetti per rilanciare la sinistra in Calabria

Ottimismo nella Federazione: «La gente sa che se vince la destra sarà un disastro»

Manifestazione contro la costruzione del ponte sullo Stretto di  Messina

La Federazione della Sinistra si presenta alle elezioni in Calabria con la speranza di continuare a svolgere in maniera ancora più forte il proprio lavoro. Nino De Gaetano, giovane consigliere e segretario regionale del Prc, corre da un comune all’altro negli ultimi frenetici giorni di campagna elettorale in cui è candidato. «Dobbiamo innanzitutto battere le destre – afferma – rappresentate da noi da un piccolo Berlusconi che gode dell’appoggio di un vasto sistema clientelare. Non possiamo lasciargli la nostra regione, ne deriverebbe un danno micidiale». A detta di De Gaetano, durante la precedente legislatura il governo nazionale ha depredato gran parte dei fondi europei (Fas) per pagare le «quote latte» di Lombardia e Veneto. Mentre la Regione cercava di stabilizzare lavoratori, i tagli alla scuola hanno portato a 3500 nuovi disoccupati. «Con questa consiliatura – prosegue – è iniziato un intervento di salvaguardia ambientale che per noi è di importanza vitale. Se vince la destra, verranno spesi miliardi di euro per un inutile e dannoso ponte sullo Stretto. Risorse che potrebbero essere impiegate per lavorare sul nostro dissesto idrogeologico, prima che si verifichino altre catastrofi. Qui bastano piogge troppo forti o una mareggiata e si rischiano vite. Se chiediamo un voto per la Federazione della Sinistra è perché abbiamo le carte in regola per portare avanti, un nuovo piano per il lavoro e l’occupazione, perché vogliamo ampliare il programma dei vaucher formativi da destinare alle nostre migliori intelligenze affinché non fuggano ma rimangano in Calabria. Perché al di là di tante declamazioni non solo le nostre sono “ pulite” ma è soprattutto grazie alla nostra spinta che si è definito un codice etico a cui tutti gli eletti debbono sottostare, elaborato con la commissione antimafia, e perché con noi, per la prima volta la Regione si è costituita come parte civile contro la ’ndrangheta».
I 3 consiglieri uscenti sono fra quelli che possono vantare di non aver ricevuto mai un avviso di garanzia e la Federazione, insieme alla coalizione ripete ormai in maniera netta di rifiutare i voti della criminalità organizzata. «La presenza di Callipo per l’IdV, rafforza di fatto la destra – conclude De Gaetano- Bisogna evitare che, complice una cattiva informazione, anche fra coloro che ci sono vicini passi l’idea di sostenerlo come un candidato di rinnovamento. Callipo ha una idea di sviluppo e di economia che non coincide con la vita e i bisogni delle persone e soprattutto dei lavoratori».
«Sostenere Loiero per impedire che si faccia il ponte», è anche il punto di partenza di Piero Mascaro, segretario del Prc a Catanzaro: «Nella nostra zona ci sono decine di comuni a rischio per frane, terremoti, alluvioni, strade interrotte da tempo e frazioni totalmente isolate – afferma - Ci sono disastri annunciati e occorre drenare le risorse destinate al ponte per mettere in sicurezza questi territori e ricostruire le infrastrutture. Sappiamo che anche a sinistra ci sono molte critiche verso la nostra scelta di appoggiare Loiero, c’è chi minaccia il voto disgiunto (voto di lista alla Federazione e a Callipo come presidente) ma sarebbe un errore clamoroso. Nelle ultime settimane molte compagne e compagni hanno capito che soltanto battendo Scopelliti e rafforzando la Federazione sarà possibile fare qualcosa per la nostra terra».
Alle precedenti elezioni europee, la nascente Federazione ottenne in questa regione un forte risultato, quasi il 7%. Le regionali sono diverse, pesano elementi locali e il voto di preferenza che spesso travalica la lista per cui ci si presenta, ma nei circoli di Prc e Pdci, gira un cauto ottimismo. Va superata l’asticella del 4%, su questa base si spinge affinché si consideri il voto alla Federazione come utile, non solo a impedire che i piani berlusconiani di controllo totale di Sicilia e Calabria, necessario a garantire l’affare del secolo, il ponte, si realizzino. Una presenza forte della Federazione in consiglio e in giunta garantirebbero controllo e intervento pubblico per affrontare la crisi, quella che in Calabria è iniziata molto prima che nel resto del paese e che è ben lontana dal terminare.

Stefano Galieni

in data:23/03/2010



http://www.liberazione.it/rubrica-file/Scuole-e-sanit--invece-che-il-Ponte-I-progetti-per-rilanciare-la-sinistra-in-Calabria.htm

Scuole e sanità invece che il Ponte i progetti per rilanciare la sinistra in Calabria

Ottimismo nella Federazione: «La gente sa che se vince la destra sarà un disastro»

Manifestazione contro la costruzione del ponte sullo Stretto di  Messina

La Federazione della Sinistra si presenta alle elezioni in Calabria con la speranza di continuare a svolgere in maniera ancora più forte il proprio lavoro. Nino De Gaetano, giovane consigliere e segretario regionale del Prc, corre da un comune all’altro negli ultimi frenetici giorni di campagna elettorale in cui è candidato. «Dobbiamo innanzitutto battere le destre – afferma – rappresentate da noi da un piccolo Berlusconi che gode dell’appoggio di un vasto sistema clientelare. Non possiamo lasciargli la nostra regione, ne deriverebbe un danno micidiale». A detta di De Gaetano, durante la precedente legislatura il governo nazionale ha depredato gran parte dei fondi europei (Fas) per pagare le «quote latte» di Lombardia e Veneto. Mentre la Regione cercava di stabilizzare lavoratori, i tagli alla scuola hanno portato a 3500 nuovi disoccupati. «Con questa consiliatura – prosegue – è iniziato un intervento di salvaguardia ambientale che per noi è di importanza vitale. Se vince la destra, verranno spesi miliardi di euro per un inutile e dannoso ponte sullo Stretto. Risorse che potrebbero essere impiegate per lavorare sul nostro dissesto idrogeologico, prima che si verifichino altre catastrofi. Qui bastano piogge troppo forti o una mareggiata e si rischiano vite. Se chiediamo un voto per la Federazione della Sinistra è perché abbiamo le carte in regola per portare avanti, un nuovo piano per il lavoro e l’occupazione, perché vogliamo ampliare il programma dei vaucher formativi da destinare alle nostre migliori intelligenze affinché non fuggano ma rimangano in Calabria. Perché al di là di tante declamazioni non solo le nostre sono “ pulite” ma è soprattutto grazie alla nostra spinta che si è definito un codice etico a cui tutti gli eletti debbono sottostare, elaborato con la commissione antimafia, e perché con noi, per la prima volta la Regione si è costituita come parte civile contro la ’ndrangheta».
I 3 consiglieri uscenti sono fra quelli che possono vantare di non aver ricevuto mai un avviso di garanzia e la Federazione, insieme alla coalizione ripete ormai in maniera netta di rifiutare i voti della criminalità organizzata. «La presenza di Callipo per l’IdV, rafforza di fatto la destra – conclude De Gaetano- Bisogna evitare che, complice una cattiva informazione, anche fra coloro che ci sono vicini passi l’idea di sostenerlo come un candidato di rinnovamento. Callipo ha una idea di sviluppo e di economia che non coincide con la vita e i bisogni delle persone e soprattutto dei lavoratori».
«Sostenere Loiero per impedire che si faccia il ponte», è anche il punto di partenza di Piero Mascaro, segretario del Prc a Catanzaro: «Nella nostra zona ci sono decine di comuni a rischio per frane, terremoti, alluvioni, strade interrotte da tempo e frazioni totalmente isolate – afferma - Ci sono disastri annunciati e occorre drenare le risorse destinate al ponte per mettere in sicurezza questi territori e ricostruire le infrastrutture. Sappiamo che anche a sinistra ci sono molte critiche verso la nostra scelta di appoggiare Loiero, c’è chi minaccia il voto disgiunto (voto di lista alla Federazione e a Callipo come presidente) ma sarebbe un errore clamoroso. Nelle ultime settimane molte compagne e compagni hanno capito che soltanto battendo Scopelliti e rafforzando la Federazione sarà possibile fare qualcosa per la nostra terra».
Alle precedenti elezioni europee, la nascente Federazione ottenne in questa regione un forte risultato, quasi il 7%. Le regionali sono diverse, pesano elementi locali e il voto di preferenza che spesso travalica la lista per cui ci si presenta, ma nei circoli di Prc e Pdci, gira un cauto ottimismo. Va superata l’asticella del 4%, su questa base si spinge affinché si consideri il voto alla Federazione come utile, non solo a impedire che i piani berlusconiani di controllo totale di Sicilia e Calabria, necessario a garantire l’affare del secolo, il ponte, si realizzino. Una presenza forte della Federazione in consiglio e in giunta garantirebbero controllo e intervento pubblico per affrontare la crisi, quella che in Calabria è iniziata molto prima che nel resto del paese e che è ben lontana dal terminare.

Stefano Galieni

in data:23/03/2010



http://www.liberazione.it/rubrica-file/Scuole-e-sanit--invece-che-il-Ponte-I-progetti-per-rilanciare-la-sinistra-in-Calabria.htm

domenica 14 marzo 2010

5 marzo 2010, Maierato SUPERCAR

TESTI EMILIANO MANCUSO - FOTOGRAFIE EMILIANO MANCUSO

http://www.extramedia.org/supercar/

Si dice spesso che la rete autostradale di un paese, se vista in una cartina geografica, finisce per assomigliare alle vene di un corpo umano. Alle arterie. E le macchine sono piastrine che viaggiano per tutto il corpo. E se un corpo è malato, dallo stato delle arterie lo si può capire. In questi mesi abbiamo viaggiato su e giù per l’Italia, sempre sulle nostre quattroruote, globuli bianchi alla ricerca di chissà quale cura o anticorpo sullo stato del nostro paese. Finchè una fiammata ha cancellato tutto, e noi ci siamo ritrovati a piedi. Può non essere di alcun interesse per il nostro viaggio in Italia scrivere di un motore che si è fuso, ma dove è successo sì, e ancor più quello che c’è stato prima ancora di più.

A3, quasi un simbolo, un’essenza mitica ormai per il nostro paese. La Salerno-Reggio Calabria, l’unica autostrada italiana dove ogni percorrenza è davvero un’avventura. Non c’è nessun’altra strada in Italia dove si ha la sensazione di viaggiare in un altro paese, esotico, difficile, pericoloso ma eccitante. Non c’è nessuna autostrada in Italia dove hai la sensazione di entrare, e poi uscire, in un altro mondo. La A3 è l’unica autostrada italiana dove non si paga, dove nessuno ancora ha avuto il coraggio di chiedere soldi per il pedaggio. Forse perché memori dei rischi che si corrono attraversandola ogni volta, o forse perché un’avventura non ha prezzo, mentre un viaggio in macchina sì. O forse semplicemente perché anche noi italiani da qualche parte abbiamo un qualche senso del pudore, e chiedere un pedaggio qui è davvero troppo. Ma ci crediamo poco, e non durerà per molto, prima o poi qualcuno quei soldi li chiederà, e magari per coprire 20 anni di investimenti, sprechi e corruzione. O forse, ancora, perché siamo in Calabria, e perché tutti sotto sotto pensiamo che stiamo varcando un confine più che un’autostrada. E al confine non si chiede pedaggio

Eravamo diretti a Giampilieri. Tanti chilometri da fare. Anche un lembo di mare. E poi altri km. Direzione San Fratello, paese evacuato a causa di una frana, mesi dopo la tragedia di Giampilieri. Assomiglia a un terremoto la zona rossa del paese. Case aperte a metà, strade spaccate, crolli, persone che si aggirano frastornate e ancora incredule. “Ho lavorato vent’anni in Germania per costruire questa casa e ora non ho più nulla. Che significa questo ?” Ci dice, quasi timido, un vecchietto.

Troppa acqua, troppe piogge, ci spiegano i Vigili del Fuoco. E così il terreno sotto il paese si è come sciolto, e lo ha fatto spronfondare. Causa dell’uomo - chiediamo in giro ? Sì, anche se poi ti spiegano sempre la complessità e a volte l’imprevedibilità degli eventi naturali. Ma a San Fratello è già successo, agli inizi del ‘900, dall’altra parte della collina. E dopo hanno costruito la parte moderna, sul lato opposto, quello sicuro, ora venuto giù anche lui, insieme a tante piccole villette. Chiediamo: abusive ? Nessuno risponde. Strana parola questa, forse suona come “straniera”.

E ripartiamo, destinazione: Maierato, Calabria. Di nuovo quel lembo di mare. Di nuovo le quattroruote chiuse nel traghetto, in attesa del Ponte, del transito diretto, del nuovo mostro fra Scilla e Cariddi. Chissà chi verrà inghiottito dal cemento: terreni, legalità, soldi, persone.

Qualche anno fa Roberto Benigni in una delle sue famose apparizioni Rai si chiedeva: “Cosa succederebbe all’Italia se la Toscana scomparisse ? Che la Liguria cadrebbe sul Lazio, l’Emilia- Romagna sull’Umbria … e così via”. E cosa succederebbe invece se scomparisse la Calabria ? Molto meno rumore, a pensarci bene. Aumenterebbe il lembo di mare verso la Sicilia, ma niente di più, nessuno cadrebbe su nessuno. Nessuna catastrofe. Anche così la Calabria sembra un corpo estraneo, un qualcosa che si può staccare dal resto, un arto artificiale, un altro mondo.

E siamo a Maierato. Qui non è come San Fratello, non c’è stato lo smottamento del terreno, ma qualcosa di meglio e di peggio insieme. E’ venuta giù una valanga di fango e si è portata dietro tutto quello che ha incontrato, case, alberi, strade, lampioni. Ma fortunamente è venuto giù il costone della montagna che lambisce il paese, e non quello direttamente sopra. Nessuno si è fatto male, ma c’è la paura che possa succedere ancorae e questa volta su Maierato. La causa sembra sempre la stessa – forse siamo ancora a San Fratello e non ce ne siamo accorti, in questo viaggio sotto la pioggia, costante per tutti e tre i giorni. L’acqua: eccola la causa, il killer, il nemico. Anche qui ha sbriciolato la montagna e l’ha fatta venire giù, come neve sporca. E dietro l’acqua ? Anche qui si risponde a fatica, ma mettendo insieme i pezzi e girando per le vie deserte del paese te ne accorgi. Non ci sono più alberi a drenare il terreno, ci sono invece tante case in costruzione, nel più tipico stile architettonico calabrese. Prima un piano, poi l’altro e sopra un altro piano ancora da finire. Tutto sembra sempre in procinto di essere finito, tutto sembra sempre in perenne costruzione. Calabria barocca si potrebbe dire, sempre verso l’alto.

Dopo Maierato siamo ripartiti per tornare a Roma, nella testa le solite domande: quante altre volte succederà ? Quante altre volte vedremo queste emergenze e la Protezione Civile all’opera ? Quante altre volte si parlerà del dissesto idrogeologico del nostro paese e quante altre volte si continuerà a costruire ? Quante altre volte torneremo ? Forse gli anticorpi non sono sufficienti e le arterie troppo malate.

Agli inizia della A3 hanno posto un grande cartello luminoso: “Benvenuto sulla Salerno Reggio-Calabria”. Ed è poco dopo, poco dopo le prime gallerie, che c’è stata la fiammata. Il motore è morto, tutto da buttare. Da rifare. Nella lotta contro la malattia hanno perso le piastrine, che accorrono dove i tessuti si rompono, ma senza grandi pretese terapeutiche. globuli bianchi. Peccato. Forse non frega niente a nessuno, ma noi alla nostra quattroruote eravamo affezionati. Una FIAT.

venerdì 12 marzo 2010

Attacco al sapere! Dal neoliberismo degli anni 70 alla catastrofe Gelmini, i nodi sociali dietro l'attacco sferrato contro la cultura e la scienza

http://digilander.libero.it/andreamartocchia/PolcaroMartocchia_Ernesto1-2010.pdf

Attacco al sapere
Dal neoliberismo degli anni 70 alla catastrofe Gelmini, i nodi sociali dietro l'attacco sferrato contro la cultura e contro la scienza

di Vito Francesco Porcaro e Andrea Martocchia*

Dallanalisi delle questioni strutturali che sono dietro la crisi del ciclodella produzione e riproduzione della conoscenza emerge il carattere strategico delle controriforme proposte con ritmo oscillante ma incessante, e l'importanza altrettanto strategica delle lotte su questo versante

Pressochè tutte le generazioni di studenti, in Italia dal ‘68 in poi, hanno conosciuto il loro “movimento”, anche quelle generazioni che apparivano più assopite dal punto di vista politico e sociale (1). La pratica delle manifestazioni e delle occupazioni “per il diritto allo studio” è stata così diffusa in questi decenni che a qualche osservatore disattento potrebbe tuttora sfuggire il carattere via via più complessivo, e la serietà drammatica del contenzioso che si è aperto negli ultimi anni. Un contenzioso che non ha niente di rituale e non può più essere compreso in termini di singole categorie o livelli di istruzione, ma che coinvolge tutta la “filiera” della produzione, riproduzione e divulgazione della conoscenza - dagli asili agli Enti di Ricerca, passando attraverso le Università, i Conservatori, le Soprintendenze, in maniera non scollegata dalla decadenza culturale più generale in atto da anni, di cui la TV è specchio immediato e brutale.

CASO PARADIGMATICO: LUNIVERSITÀ
E’ ormai passato quasi mezzo secolo dalle prime proposte di riforma della struttura dell’università italiana, che era nata dalla “Legge Gentile” del 1928. Certamente, quell’università era una struttura “di eccellenza”, come provano i grandi risultati ottenuti dalla scienza italiana tra le due guerre prima e negli anni ’50-’60 dopo (2). Però, è altrettanto certo che si trattava di una struttura intrinsecamente classista, che riservava la formazione universitaria solo ad una ristretta élite sociale. Quell’università, e tutti i gradi di istruzione precedenti, erano stati improntati alla concezione dell’“idealismo” gentiliano, che attribuiva tra l’altro un carattere falsamente “neutrale” alla cultura.

Di fatto il proletariato aveva a disposizione, dopo la scuola elementare, solo le “Scuole di avviamento al lavoro”. I licei e le altre scuole superiori erano stati separati negli indirizzi “umanistici”, “scientifici” e “tecnici”, pensati in senso gerarchico sia dal punto di vista culturale che sociale, come è evidente dal fatto che il Liceo Classico dava l’accesso a tutte le facoltà universitarie, quello Scientifico solo ad alcune e gli Istituti tecnici ad una o due facoltà, nel caso migliore: cosicché, in Italia la buona borghesia di regola inviava i propri ragazzi a frequentare il liceo Classico. Quella concezione era nel solco di una certa tradizione della cultura “alta” italiana, una tradizione sostanziale di estraneità dal sapere “scientifico”(3); di converso un apparente “sganciamento” dalle esigenze mercantili rappresentava il lato positivo di quel sistema.

All’Università, la stagione delle lotte del ’68-’69 fece saltare quella struttura, il cui fondamento era “il barone”, il docente padrone assoluto del suo ambito disciplinare, non soggetto ad alcuna valutazione né possibilità di critica del suo operato, capace perciò di ottenere grandi risultati quando si trattava di una personalità scientifica di alto livello ma anche di produrre disastri quando non lo era.

Negli anni 60-70, sulla scorta della spinta sociale che imponeva un accesso generalizzato alla cultura ed una università “di massa”, si introdussero nel nostro sistema formativo alcuni elementi di democrazia, che ponevano come asse del sistema l’utilità sociale del pensiero critico. Il movimento operaio impose nel 1962 la scuola media unica e l’obbligo a 14 anni. Il movimento studentesco del 68-69 impose la liberalizzazione degli accessi all’Università, il ringiovanimento del corpo docente, sia scolastico sia universitario (4), e la presenza, anche se limitata, degli studenti e del personale non docente negli organi di governo universitario.
Il sistema che ha funzionato per gli ultimi venti anni del Novecento è stato però un sistema compromissorio e incompleto, debole per questo motivo intrinseco, e debole per una fondamentale ragione di ordine storico-sociale. Nonostante alcuni risultati non disprezzabili sul piano della diffusione della cultura e delle competenze, il movimento di democratizzazione interno a scuola e università non è riuscito a incontrarsi e a intrecciarsi, in modo sostanziale e irreversibile, con le forze del lavoro. La classe operaia ha vissuto solo occasionalmente, ad esempio con la forte ma isolata esperienza delle 150 ore (5), la democratizzazione della scuola, e soprattutto quella dell’università, come una cosa propria, come un momento della propria valorizzazione in quanto forza produttiva e di direzione della società.

È questo un motivo non secondario della insufficiente risposta da parte del mondo del lavoro all’aggressione di stampo liberista in atto, a partire dagli ultimi due decenni del XX secolo, nei confronti del sistema formativo. Secondo il paradigma liberista, il sapere va infatti considerato soltanto come fattore di produzione e l’attribuzione di un contenuto intellettuale al lavoro rappresenta un costo da ottimizzare.

Questo modello però non è solo ingiusto, ma anche fondamentalmente sbagliato, perché il sapere non dovrebbe essere inteso come una merce ma come un bene comune, che dalla condivisione accresce e non diminuisce il suo valore. Perciò, intervenire sulle università e sugli Enti di Ricerca per farli diventare “imprese” significa distruggerli. È questo il motivo per il quale il “processo di Bologna” (6) mostra la corda in tutte le nazioni coinvolte: esso vuole infatti condizionare il processo di alta formazione alle esigenze del “mercato”, cioè in pratica alla creazione di forza-lavoro intellettuale finalizzata alla struttura economico-sociale esistente, considerata l’unica possibile, ostacolando quindi qualsiasi prospettiva di progresso.

Anche in Italia, già da tempo, il sistema della ricerca e della formazione è stato investito da politiche di adeguamento al paradigma liberista, ma mentre i governi di centrosinistra hanno in qualche caso tentato, pur con pessimi risultati e molte contraddizioni, un temperamento fra istanze liberistiche e carattere pubblico del sistema formativo, il governo Berlusconi persegue invece con tutta evidenza la distruzione e la privatizzazione di questo sistema. Il progetto del governo è molto chiaro: smantellare la scuola e l’università pubblica, garantite dalla Costituzione Italiana nata dalla Resistenza come mezzo per la creazione e la trasmissione della conoscenza come bene comune.

Se dunque fino a tutti gli anni ‘70, il contenzioso verteva sulla necessità di una apertura e generalizzazione del diritto allo studio, nel segno di una offensiva delle classi sociali fino ad allora escluse, a partire dagli anni ‘80 le battaglie nel mondo della scuola, dell’università e della ricerca, della cultura in generale sono state piuttosto battaglie d i f e n s i v e, tanto da esporsi alla ben nota, e paradossale, critica di conservatorismo che la controparte agita ogniqualvolta siano in cantiere riforme distruttive dello stato sociale e di diritto – dall’istruzione alla previdenza, al diritto del lavoro.

TUTTA LA CULTURA SOTTO ATTACCO
L’attacco classista (nel senso che viene dalle classi già egemoni), che è in corso, a ben vedere travalica i confini delle scuole e delle università, e travalica anche i confini nazionali. Il disinvestimento è generalizzato e riguarda tutti i luoghi della produzione, riproduzione e divulgazione della conoscenza. In Italia il processo è particolarmente evidente e grave:

- i dati sulla frazione del PIL impiegata nella Ricerca e Sviluppo (R&S) parlano da soli: superando a stento l’1 per cento, siamo tra gli ultimi in Europa (7) ;

- le successive riforme, il drastico innalzamento delle tasse di iscrizione e dei costi (libri, affitti, ecc.) hanno già determinato la sostanziale fine del carattere di massa dell’università; anche nelle scuole di vario ordine e grado, la selezione è fortemente aumentata ed è una selezione per censo;

- il fenomeno generalizzato è quello della descolarizzazione, con addirittura il tentativo esplicito del centro- destra di retrocedere con l’età dell’obbligo scolastico (8);

- gli Enti di Ricerca sono sotto attacco da anni attraverso commissariamenti, accorpamenti e dismissioni: non si tratta solo di spoil system (lottizzazione), cartolarizzazioni o contenimenti di bilancio, anche se tutto questo c’è, ma è in atto una più complessiva politica per imbrigliare, svalorizzare, desertificare (9);

- un caso clamoroso e attuale è quello dell’ISPRA (Istituto per la Ricerca Ambientale) di Roma, i cui ricercatori trascorrono da settimane giorni e notti - incluse le feste - sul tetto del loro istituto, per protestare contro la scadenza (il 31/12/2009) del contratto di almeno 200 di loro, precari. Da segnalare (1) la concomitanza del loro caso con le proteste a Copenhagen in occasione del vertice sull’Ambiente, che ha dimostrato che il disinteresse delle classi dirigenti dei paesi capitalisti per questo tema è... globale, e (2) Franceschini che sale anche lui sul tetto e chiede «una indennità di disoccupazione» per i precari... Ma i ricercatori hanno bisogno del lavoro, non vogliono buttare via anni e decenni di studio e ricerca;

- quando diciamo “Enti di Ricerca” comprendiamo anche istituti di scienze umane e/o afferenti ai Beni Culturali (10);

- dovrebbe preoccupare il ricorso sempre più frequente a sistemi di tipo caritatevole per la ricerca scientifica – da Telethon all’8 per mille;

- non può essere slegato da questi fenomeni l’imbarbarimento culturale, che passa per le riforme dei programmi scolastici ed universitari, ma è evidente anche nelle politiche al livello della informazione e della divulgazione: dai tentativi della Moratti di eliminare la teoria darwiniana dai libri di testo e nel contempo istituire un ordine professionale degli astrologi, al dilagare delle pseudoscienze e del new age anche in sedi teoricamente deputate alla divulgazione scientifica (11).

Tutti questi fenomeni ci parlano di un declino che non è altro che il declino della classe sociale egemone, poiché la cultura prevalente di ogni società è la cultura della sua classe dominante. Per tutta l’epoca storica dell’affermazione della borghesia, questa classe ha prodotto moltissima cultura e conoscenza; ma con il proprio declino essa umilia e distrugge anche il sapere. D’altronde, in termini strettamente economici, è cosa nota che ci sono fasi in cui il capitale deve distruggere le forze produttive, anche quelle uscite dal suo seno. E questa è una di tali fasi, se è vero come è vero che stiamo passando attraverso una crisi di sovrapproduzione di merci e di sovraccumulazione di capitale.

Dunque, così come è strutturale il carattere della crisi, allo stesso tempo sono strutturali le politiche anti-ricerca e anti-cultura praticate in Italia e all’estero. Che la situazione negli altri paesi a capitalismo avanzato non sia rosea lo dimostra il bilancio ovunque fallimentare rispetto agli obiettivi posti a Lisbona. Nei paesi a capitalismo avanzato è in atto una complessiva contrazione degli investimenti in R&S e, all’interno di questi, uno spostamento di risorse verso i settori legati alle produzioni immediatamente applicative e militari. Dati che abbiamo raccolto dimostrano che dal 1995 in poi nei paesi UE la frazione di PIL destinata a R&S è rimasta sempre complessivamente sotto il 2%, e ferma anche negli USA attorno al 2,5% (12). Una rapida carrellata: negli USA il 2009 è stato l’anno delle occupazioni di alcune università, ad es. Berkeley, come non si vedevano da tempo. In Grecia i gravi scontri di piazza già a fine 2008 erano nati da proteste studentesche. In Gran Bretagna “Gli studenti si rivoltano, lo spirito del ‘68 si risveglia”(13).

In Francia abbiamo l’esempio più eclatante di un movimento unitario degli studenti e degli operatori della conoscenza (14), e della cultura in genere, non esclusi gli artisti, e questo movimento dura da parecchi anni a questa parte. Si è tentata la demolizione del CNRS, da trasformarsi in mera “agenzia per i finanziamenti”; è stata introdotta la “autonomia universitaria” (2007) con promesse bugiarde su aumenti dei fondi e incremento dei posti; Sarkozy è sceso in capo in prima persona (22/1/2009) per insultare e offendere insegnanti e ricercatori, proprio come Brunetta in Italia. Forti movimenti studenteschi, che spesso si incrociano con mobilitazioni dei docenti sono in corso in Spagna, Germania, Balcani, e in altri paesi.

LA RIFORMA GELMINI NEL SOLCO DELLA PEGGIORE MIOPIA IMPRENDITORIALE
Da noi la situazione è particolarmente grave anche per la mediocre, non innovativa, natura del capitalismo italiano. Il 90% delle imprese italiane è a gestione familiare ed ha meno di 10 dipendenti. In queste condizioni il settore privato è nella impossibilità oggettiva di fare ricerca e innovazione. La tendenza è a non reinvestire i profitti, limitandosi quando possibile ad accumulare patrimonio famigliare (15).

In più, ci si trova da anni di fronte ad un arretramento della produzione industriale sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Come ha giustamente scritto Vladimiro Giacchè già quattro anni fa proprio su questa rivista ["L'insostenibile arretratezza del capitalismo italiano", n. 5, 2005], la crisi dell’imprenditoria italiana “è stata resa possibile da ben precise politiche pubbliche. In primo luogo dall’uso sistematico di svalutazioni competitive, che ha coperto i problemi reali di competitività delle imprese italiane per almeno due decenni, spingendole sul binario morto di una competitività basata sui prezzi bassi anziché sul contenuto tecnologico e l’innovazione produttiva. (...) Abbiamo poi la tolleranza (e con Berlusconi l’incentivazione diretta) di un’evasione fiscale che non ha confronti pressoché in nessun altro paese industrializzato... [e che] ha avuto effetti particolarmente negativi sul tessuto produttivo, favorendo la distrazione sistematica di fondi dalle imprese (...) esso ha inoltre alterato in misura significativa la concorrenza tra le imprese, operando una vera e propria ‘selezione del peggiore. (…) Dalla ottusa difesa di rendite di posizione all’eterna propensione a ‘privatizzare i profitti e socializzare le perdite, dalla diserzione fiscale alle scorribande borsistiche, dall’istinto predatorio alla scarsissima propensione agli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico: si può dire che non ci sia un solo atteggiamento regressivo delle classi dominanti italiane che le concrete scelte politiche dei governi e le leggi varate dal parlamento non abbiano favorito e incentivato”.
Se questo è il dato strutturale, il riflesso è che, in base a dati del 2005, in Italia c’è il più basso numero di ricercatori d’Europa: 70mila - due terzi nel settore pubblico o nelle università - contro 170mila in Francia, 270mila in Germania (ma a rapporto inverso: la maggioranza è nelle imprese).

Il governo delle destre è totalmente accondiscendente alle richieste di tale imprenditoria nostrana, familistica e speculativa: l’obiettivo principale della cosiddetta “riforma” Gelmini della scuola è infatti una sostanziale riduzione del contenuto intellettuale medio del lavoro, finalizzata a una sostanziale riduzione del valore medio del lavoro. Una formula non diversa può interpretare le scelte sull’università e sugli enti di ricerca pubblici, effettuate con la legge 133/08, uno dei primi provvedimenti del governo delle destre. Questa legge prevede infatti per il Fondo di Finanziamento Ordinario delle Università, già abbondantemente ridotto dai precedenti governi, tagli senza precedenti che avranno un effetto distruttivo: infatti, l’FFO si ridurrà entro il 2010 ad un terzo rispetto a quello del 2007. Inoltre è dimezzato il finanziamento del PRIN (Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale), l’unico strumento che ormai finanzi la ricerca libera e, per di più, questi fondi non sono ancora stati resi disponibili per l’anno in corso, generando tra l’altro interruzioni di ricerche in atto e perdita del posto di lavoro per coloro che da anni erano pagati con contratti a termine finanziati su questi programmi.

Quello però che è più grave è la drastica, ulteriore riduzione delle assunzioni, a fronte del basso rapporto docenti/studenti, del basso rapporto ricercatori/occupati e dell’elevato numero di precari che lavorano nelle università e negli enti di ricerca, e la possibilità di trasformazione degli Atenei in fondazioni private, con la privatizzazione dei rapporti di lavoro, il conferimento dei beni dell’Università al nuovo soggetto privato e l’indeterminatezza degli organi di gestione degli Atenei, senza nessuna garanzia per la libertà di ricerca e di insegnamento. Quasi inutile citare l’inevitabile, forte aumento delle tasse universitarie se gli Atenei diventassero fondazioni, che provocherebbe una ulteriore selezione classista.

Tutto ciò è stato mitigato solo in apparenza dal successivo Decreto Legge del 7 ottobre 2008. Il governo infatti, con la complicità del Partito Democratico che ha deciso di vestire il ruolo di mediatore di conflitto e di molti rettori che fin dall’inizio hanno vissuto con imbarazzo il ruolo di agenti di conflitto e hanno cercato in ogni modo di tirarsene fuori, ha tentato di smobilitare l’imponente movimento che si era sviluppato nei mesi precedenti attraverso un provvedimento fantoccio in cui, dietro la parvenza di alcune piccole concessioni, mantiene solido l’impianto regressivo presente nella legge 133, e non ha risposto alla domanda di civilizzazione espressa dal movimento che si è sviluppato nelle scuole e nelle università nell’autunno 2008.
Passato l’effetto mediatico di questo movimento, forte come partecipazione ma debole come elaborazione e proposta, dopo una imponente campagna di denigrazione di tutta l’università italiana l’opera distruttiva è stata completata con il DdL Gelmini del 28 ottobre 2009 (16), che mostra chiaramente il disegno eversivo delle destre. Esso tra l’altro riprende il progetto della messa ad esaurimento dei ricercatori di ruolo già avanzato da Letizia Moratti nel 2005 e poi momentaneamente accantonato anche grazie alle proteste di massa. Le novità che il governo prospetta in materia di govern a n c e degli atenei sono chiaramente ispirate solo a una logica autoritaria e privatistica. Quanto previsto per la vasta area del precariato è profondamente iniquo e irrazionale, tale da mettere a repentaglio la funzionalità di molti Dipartimenti. I tagli alle finanze degli atenei e la nuova normativa per l’accesso alla docenza preludono all’espulsione in massa dal sistema universitario di tante persone meritevoli, stimate anche in ambito internazionale, che da tempo lavorano nell’Università italiana - tra le ultime in Europa per quantità di docenti di ruolo e tra le più sfavorite per rapporto docenti/studenti.
Al di là della retorica sul valore strategico della conoscenza e della ricerca, il governo – ostacolando i nuovi accessi, conservando le vecchie logiche di sottogoverno, che hanno preso il posto del vecchio “baronato” a partire dagli anni ’80, e non introducendo alcuna misura preventiva contro il malcostume accademico – pianifica un enorme spreco di risorse finanziarie, impiegate per la formazione di tanti studiosi ai quali sarà impedito l’accesso ai ruoli dell’Università, e una perdita secca in termini di capacità, competenza ed esperienza, che rischia di determinare un incolmabile divario tra l’Italia e i Paesi più avanzati. In più, il DdL Gelmini umilia gli studenti, integrandoli nei nuovi organi di governo senza alcun potere decisionale, rendendoli così complici di questo sfacelo, e annulla di fatto il diritto allo studio introducendo il meccanismo dei prestiti d’onore, cioè una forma legalizzata di indebitamento delle giovani generazioni, e istituendo un fantomatico fondo per il merito gestito dal Ministero del tesoro ed organizzato “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”: una porta aperta al progetto nefasto di abolizione del valore legale del titolo di studio. Tale progetto è purtroppo condiviso dai politici e teorici liberisti del centrosinistra.

Al di là della retorica e della demagogia di questi ultimi, va rimarcato il fatto evidente che abolire il valore legale dei titoli significa ulteriormente sancire il totale arbitrio del datore di lavoro (anche pubblico) nella selezione della sua forza-lavoro, per cui nemmeno il merito conseguito e certificato avrebbe più valore di fronte alla selezione sulla base di interessi privati e criteri ideologici (17) . Queste scelte, per di più operate in un Paese ove il numero di diplomati e laureati è fra i più bassi d’Europa e dove i ricercatori sono già costretti ad emigrare, perseguono un preciso disegno politico: smantellare la scuola e l’università pubbliche e statali privandole dei finanziamenti indispensabili per la loro esistenza, privatizzarle (18) consentendo l’accesso ad un’istruzione qualificata solo ad una parte minoritaria e più abbiente della popolazione e dare così basi stabili e durature ad una società senza democrazia, basata sul privilegio, l’ignoranza, la disuguaglianza.

OBIETTIVI PRATICABILI
A questo processo non si è però ancora opposto un movimento capace di fermarlo, perché ancora troppo confusa e disgregata è la proposta alternativa: tra chi rifiuta l’università berlusconiana troviamo infatti chi vorrebbe un ritorno a quella gentiliana, chi vorrebbe una università “all’americana”, chi fantastica di processi di “autoriforma” e “autoformazione” degli studenti. Oggettivamente l’“utopismo” di questa ultima tendenza, spesso improntata a quel post-operaismo ingenuo che predica una presunta libertà assoluta del lavoratore della conoscenza, fa il paio con le tendenze iperliberiste più pericolose, convergendo con queste nello smantellamento del valore legale dei titoli e nella dispersione sul “mercato” della conoscenza di una miriade di “saperi” parcellizzati come le merci al supermercato (19).

L’unità del fronte di opposizione si frantuma così in rivendicazioni confuse, basate su modelli vaghi e contraddittori. Per quanto ci riguarda, riteniamo invece necessario impostare il ragionamento e la conseguente strategia di lotta sull’analisi strutturale del fenomeno, e dunque sulla critica “scientifica” della società e della economia nella fase presente.
Perlomeno, questo dovrebbe essere il naturale metodo degli intellettuali marxisti. L’evidenza di una crisi di sovrapproduzione nel sistema capitalistico, e la sua analisi, schiudono naturalmente la strada a tale necessario percorso critico. Ciò non toglie che da comunisti dobbiamo anche favorire lo sviluppo di un movimento ampio, unitario di opposizione su questi terreni.

Una opposizione che adesso possa essere veramente in grado di fermare il processo eversivo del governo delle destre deve avanzare qualche proposta semplice e praticabile che dia effettivamente seguito al mandato costituzionale che prevede il diritto all’accesso fino ai livelli più elevati dell’istruzione a tutti i capaci e meritevoli.

Quanto proponiamo non è quindi un impossibile ritorno al passato, né una divisione tra gli studi universitari destinati “al lavoro” ed “alla ricerca”, né una utopica “autoformazione” delle giovani generazioni, ma uno studio critico, differenziato solo per settore, che metta il giovane in grado sia di “sapere” che di “saper fare”. Allo stesso tempo, mentre ci opponiamo ad un “fare scienza” finalizzato solo al profitto delle imprese, stigmatizziamo anche il carattere regressivo di questo capitalismo, soprattutto italiano ma non solamente, che ha messo da parte l’innovazione scientifico-tecnologica perché pratica la massimizzazione del profitto attraverso lo sfruttamento del lavoro vivo (il tempo di lavoro ed il suo costo, cioè il salario) mentre trascura l’automazione ed il know-how (il cosiddetto lavoro morto, in termini marxiani).

Più in generale, proponiamo un modello di scienza che, superando la divisione fittizia tra “scienze umane” e scienze “matematiche, fisiche e naturali”, assuma come riferimento il lavoro, non nella sua versione atrofizzata di fattore della produzione capitalistica, ma nella sua più profonda realtà di grande forza mediatrice fra uomo e natura. In questa prospettiva la precarizzazione dei docenti e dei ricercatori, così come il finanziamento della sola ricerca “applicata” è una jattura, perché impedisce ogni possibilità di creazione e trasmissione di sapere critico (20) . In termini di principio, bisogna ribadire che la libertà di ricerca e di insegnamento non è una prerogativa di ricercatori e docenti, ma è un diritto dei cittadini. È lo studente che ha diritto a insegnanti liberi; è la società che ha diritto a una ricerca libera. Una vera riforma dell’università deve perciò mettere al centro il diritto al sapere come diritto al futuro per l’intera società.

Tutte queste esigenze si possono tradurre in poche proposte, semplici e immediatamente praticabili, ove ce ne fosse la volontà politica:

- è necessario che al sistema che produce e trasmette il sapere siano garantite risorse adeguate, almeno al livello della media europea, sia come finanziamento che come personale;

- va garantito un effettivo sostegno al diritto allo studio, non solo tramite un consistente numero di borse di livello economico sufficiente, ma soprattutto tramite l’effettiva disponibilità per tutti gli studenti di adeguate infrastrutture logistiche (alloggi, mense, trasporti, ecc.) e didattiche (biblioteche, laboratori, aule, ecc.) e di un accettabile rapporto docenti/studenti;

- occorre introdurre per legge il principio del tempo pieno per i docenti a tutti i livelli, affinché si possano dedicare esclusivamente alla ricerca ed alla didattica, rinunciando quindi ad attività professionali ed ad altri incarichi continuativi;

- al contempo, va garantita ai docenti la libertà di insegnamento e di ricerca, sancita dalla Costituzione, non solo tramite l’esclusione di ogni condizionamento politico, confessionale e burocratico, ma anche attraverso la effettiva disponibilità di strutture, finanziamenti e tempo per dedicarsi a queste funzioni;

- la cronica carenza di docenti e l’ormai intollerabile peso del precariato nelle università e negli enti di ricerca italiani dimostra che deve essere profondamente trasformato il meccanismo del reclutamento, passando a forme più trasparenti che, salvaguardando le competenze acquisite da quanti sono stati per anni costretti a lavorare in condizioni spesso inaccettabili per mantenere l’attuale alto livello scientifico e didattico del sistema accademico nazionale, permettano un costante afflusso di giovani per il futuro;

- la persistenza di alcune fasce di parassitismo, anche se prevalentemente concentrate in settori e situazioni particolari, rende necessario che si metta in opera un efficiente sistema di autovalutazione da parte della comunità scientifica, che garantisca la continuità della produzione di sapere di ogni docente; questo processo deve però basarsi su regole certe e condivise dalla comunità scientifica nelle sue diverse articolazioni;

- ciò comporta anche la necessità di una razionalizzazione dell’esistente, ponendo fine ad esperienze fallimentari di micro-atenei e sedi distaccate prive di ogni struttura didattica e scientifica e di centri di ricerca fantasma, nati solo per soddisfare pretese localistiche ed interessi di lobbie, garantendo al tempo stesso le necessità ed i diritti degli studenti, dei precari e dei docenti;

- va garantita anche l’unitarietà del s a p e re, intrinseca nell’origine stessa del nome “Università” e resa oggi inevitabile dalla crescente necessità di studio e ricerca interdisciplinare indispensabili per rispondere ai sempre più complessi bisogni, materiali e culturali della società moderna: assurda appare quindi la scelta sempre più frequente di delocalizzare e separare spazialmente tra loro le diverse facoltà e dipartimenti di un ateneo;

- è indispensabile effettuare una drastica inversione di tendenza nella autonomia selvaggia dei singoli atenei che, sotto la spinta ad una innaturale concorrenza di tipo mercantilistico, sta compromettendo nei fatti il valore legale del titolo di studio, unico strumento che ha garantito, nel nostro Paese, il principio costituzionale dell’eguaglianza sostanziale per tutti.

A ulteriormente contrastare le muse incantatrici del liberismo, è infine necessaria una politica di indirizzo generale, economico-produttivo, da parte dello Stato. La progressiva scomparsa delle medie e grandi imprese e la generale ritirata dai pochi settori capaci di produrre innovazione (chimica, elettronica, energia, automobile) ha aggravato drammaticamente la situazione italiana. Pensare di intervenire su di un tale contesto solo sul versante delle politiche scientifiche e dell’università sarebbe anch’esso un errore gravissimo. Lo Stato dovrebbe generare una reale, costante e quantitativamente rilevante domanda interna di prodotti e servizi ad alta tecnologia.

Lo Stato dovrebbe selezionare i settori merceologici ad alta tecnologia che, per il loro ruolo strategico e per la situazione attuale del mercato, meritino e permettano una politica di espansione per il sistema produttivo nazionale e concentrare su questi tutte le risorse di-sponibili per la ricerca industriale, difendendoli anche politicamente dai condizionamenti stranieri. Si incentiverebbe così lo sviluppo di una nuova imprenditoria, disponibile a puntare sull’innovazione tecnologica.

UN PROBLEMA DI CIVILTÀ, NON DI ORDINE PUBBLICO
Abbiamo cercato in questa sede di evidenziare le questioni strutturali, le ragioni sociali dietro la crisi del “ciclo” della produzione e riproduzione della conoscenza. Ne emerge il carattere strategico delle controriforme che con ritmo oscillante, ma incessante, vengono proposte, e l’importanza altrettanto strategica delle lotte su questo versante, anche quelle che si pongono obiettivi “minimi” ma proprio perciò concreti e praticabili.

Tale significato strategico è ovviamente riconosciuto dalla controparte, quantomeno dai veri ispiratori delle contro-riforme. A dimostrazione possiamo ricordare due fenomeni.
Il primo fenomeno è la sostanziale convergenza “bipartisan” e di Confindustria sulle linee-guida della ristrutturazione del settore. Il sistema “mercantile” dei “crediti formativi” è stato introdotto con la Legge Berlinguer del 1999; oggi lo stesso Berlinguer usa toni compiaciuti verso la Gelmini (21) . Secondo il vicepresidente di Confindustria per l’Education (sic), Gianfelice Rocca, il decreto Gelmini è “un’occasione storica per i nostri atenei” (22) . Le politiche dei governi in questo settore sono state di fatto dettate dai ministri dell’Economia - Tremonti e Padoa-Schioppa – ispirati al medesimo liberismo fatto di tagli nei servizi, compresa l’istruzione e la ricerca. Padoa Schioppa umiliò i pur timidi tentativi di ripresa che aveva promosso il ministro Mussi nell’era Prodi. Tanto per rimanere in area PD, più recentemente, il già senatore per il PDS-DS Franco De Benedetti - fratello del più noto Carlo - ad una conferenza pubblica ha chiesto esplicitamente la privatizzazione generalizzata delle università (23).
Il secondo fenomeno è un certo tipo di strategia della tensione, che non esclude l’impiego dei fascisti con funzione provocatoria per distruggere il movimento di opposizione alle riforme. Possiamo riconoscere questa strategia nel continuo scivolare delle contestazioni in episodi di guerriglia urbana anche “mimata” (cioè fittizia, o comunque ben più mediatizzata che non davvero combattuta) o in veri e propri scontri. La presenza di bande fasciste a di- sturbare il pacifico e democratico svolgersi delle proteste è una “tradizione” storica (24) che era e rimane nell’interesse di chi vuole che del contenzioso non si parli se non come problema di “ordine pubblico”.

Di fronte a tali nodi strutturali e interessi strategici è allora evidente che solo un coordinamento tra le lotte contro la mercificazione del sapere in atto in tutto il mondo, ed in particolare in Europa, permetterà di sconfiggere il paradigma neo-liberista. Contro un sistema organizzato sempre di più su scala internazionale, la possibilità di vittoria di mobilitazioni locali, anche molto forti, è infatti minima. La possibilità di realizzare questo coordinamento tra gli studenti ed i lavoratori del sapere di tutte le nazioni è molto concreta, dati i legami da sempre esistenti ed ora più forti che mai. Se ci riusciremo, non solo vinceremo ma aiuteremo anche tutte le altre categorie del lavoro e le classi subalterne di tutto il mondo ad unirsi ed a vincere.

* rispettivamente:
responsabile Università e ricerca del PdCI;
dell’Associazione marxista Politica e Classe.

Gli autori sono astrofisici, ricercatori afferenti all’Istituto Nazionale di Astrofisica(INAF).

Note

1 Dalle proteste del ‘77 contro il Ministro Malfatti a quelle del 2005 contro la Moratti, passando per i “Ragazzi dell’86” (ricordate la Falcucci?) e la “Pantera”...

2 Basti pensare alla scuola di Enrico Fermi per la fisica, a quella di Giuseppe Levi per la biologia, a quella di Natta per la chimica, a quella di Bianchi Bandinelli per l’archeologia, e a molti altri.

3 Tuttora il termine “scientifico” in Italia è usato prevalentemente nell’accezione delle “scienze naturali”.

4 I “Corsi abilitanti” che garantivano ai giovani il diritto all’immissione nelle graduatorie per ottenere supplenze nelle scuole e poi il posto di ruolo, fu il tentativo meglio riuscito per introdurre un meccanismo certo ed oggettivo per l’accesso all’insegnamento. La legge 382/80 garantì l’accesso al ruolo a moltissimi precari dell’università (tanto da essere stata poi ingiustamente accusata di avere “ingorgato” i ruoli della docenza), introdusse, anche se in modo equivoco, la figura del “ricercatore universitario” al posto dell’“Assistente” del docente ordinario ed il principio di una frequenza certa nelle tornate concorsuali, garantì, anche se in modo molto parziale, l’ingresso nella gestione degli Atenei agli studenti ed al personale non docente. Purtroppo queste leggi furono in breve rese inutilizzabili dai continui tagli ai fondi dell’istruzione operati a partire dai primi anni ’80.

5 Sulla base della conquista sindacale dei lavoratori metalmeccanici nel contratto nazionale di lavoro del 1970, erano riconosciute ai lavoratori 150 ore lavorative retribuite ogni tre anni ad uso “scolastico e culturale”, purché essi ne mettessero altre 150 del proprio tempo libero. Il sindacato scelse di dare la priorità al recupero, per tutti i lavoratori, del diploma della scuola dell’obbligo. In due anni 100.000 lavoratori metalmeccanici tornarono a scuola, seguiti ben presto da altre categorie di lavoratori, poi da disoccupati e casalinghe.

6 Questo processo, concordato tra i ministri dell’università dell’Unione Europea, punta ad una standardizzazione dei percorsi universitari europei, per molti versi opportuna e probabilmente inevitabile, in due cicli tipicamente di 3 e 2 anni eventualmente seguiti dal dottorato. Esso inoltre ha introdotto il meccanismo dei “crediti formativi”, acquisibili sia tramite la frequenza di corsi ed il successivo superamento dei relativi esami sia con altri mezzi (stage, esperienze di studio all’estero ed altre attività “formative”), come parametro attestante il livello di formazione raggiunto. Questo modello è stato criticato sin dalla sua introduzione per i rischi insiti: dipendenza dell’università dal mercato, costruzione di un’elite di laureati di secondo livello contro una massa di laureati di primo livello destinati al lavoro, mancanza di finanziamenti, aziendalizzazione dell’università, strapotere del pedagogismo sotto la veste dell’“apprendere ad apprendere”.

7 Vedi grafico n.1.

8 Già la “riforma” Moratti aveva tentato di introdurre la dicotomia tra un percorso di istruzione formale ed uno di “avviamento al lavoro” per i bambini di soli dodici anni. Uno dei pochi risultati concernenti l’istruzione ottenuti dalla sinistra nel corso del secondo governo Prodi era stato quello di fare abrogare quella “riforma” ed elevare l’obbligo di istruzione da 14 a 16 anni. Con la “riforma” Gelmini, questo innalzamento dell’obbligo è stato sostanzialmente cancellato.

9 Dalle minacce di disgregazione di enti di fondamentale importanza strategica come l’ENEA alla chiusura, che è novità di quest’anno, di alcuni Osservatori Astronomici... Non possiamo in questa sede nemmeno tentare di tracciare un quadro complessivo; sulle condizioni sempre più ardue in cui si svolge il lavoro scientifico possiamo però ad esempio rimandare alla ottima documentazione televisiva di Riccardo Iacona (il documentario Viva la Ricerca, del 2005).

10 Tanto per menzionare qualche caso: tra i commissariamenti di questi anni vanno annoverati quelli di alcune soprintendenze, come quella di Roma; i casi di musei e centri di visita chiusi per mancanza di personale si sprecano; anche i corsi alla prestigiosa Scuola dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro di Roma sono stati sospesi a tempo indeterminato per mancanza di fondi; eccetera.

11 Sui media l’informazione scientifica ha uno spazio sempre minore ed un carattere sempre meno critico: mentre le novità scientifiche sono presentate con toni mistici e fantastici, ad esse sono affiancate esposizioni su presunti misteri e miracoli, dal templarismo a Fatima ai cerchi nel grano e così via, con una sovraesposizione di personaggi ed argomenti religiosi in campi non pertinenti. La deriva in senso irrazionalistico permea l’informazione nel suo complesso, non esclusa l’informazione sui fatti di cronaca, ed ovviamente sulle cronache per eccellenza del nostro tempo: quelle di guerra.

12 Sarebbe importante confrontare, in uno specifico studio, questi andamenti con quanto avviene in India, Cina o Brasile... Nei paesi emergenti e in quelli socialisti la tendenza negli ultimi anni è stata opposta, ma non è da sottovalutare la possibilità che la crisi delle economie più “forti” trascini con sé anche tutti gli altri.

13 http:// www. independent. co. uk/ news/ education/ education- news/ students- arerevolting- the- spirit- of- 68- is- reawakening- 1604043.html.

14 Sauvons la re c h e rc h e: si veda http:// www. sauvonslarecherche. fr, http://www. sauvonsluniversite.com .

15 Ma c’è anche di peggio, e anche nelle industrie più grandi: basti pensare ai nomi di Callisto Tanzi o di Lapo Elkann.

16 Il testo ufficiale del DDL governativo sull’Università presentato al Senato e assegnato il 2 dicembre 2009 alla Commissione Istruzione si può leggere al sito: http:// www.andu-universita.it/2009/ 10/28/governance- 2/. Per aggiornamenti sul contenzioso in corso raccomandiamo lo stesso sito ANDU ed anc h e: http:// www. perluniversitapubblica. it, http:// www. osservatorio-ricerca.it, http: //www.rinascitadellascuola.org/.

17 Il reclutamento dei sostenitori di una teoria o concezione “avversa” a quella del reclutatore sarebbe reso ancora più arduo di quanto non sia oggi.

18) La privatizzazione consiste sia nel piegare le università pubbliche all’interesse privato (ad es. con le “Fondazioni” e l’accesso degli imprenditori nei “Consigli di Amministrazione”), sia nello spostare il più possibile verso istituti privati la domanda formativa, riconosciuta come fonte di profitto economico. Su quest’ultimo punto, che è importante anche se non spiega se non in minima parte il carattere strutturale dell’attacco, ricordiamo gli scandali sulle Università private svelati ad es., da REPORT nella trasmissione del 26/5/2006.

19 Tant’è vero che si è arrivati a chiedere il riconoscimento di crediti formativi per certi corsi autogestiti, fornendo così pure legittimazione di fatto al sistema dei crediti, merce tra le merci sul “mercato” liberista/ “libertario” del sapere.

20 In questa sede non possiamo nemmeno tentare una disamina del danno che la precarizzazione arreca al lavoro scientifico. Un più vasto ragionamento andrebbe articolato sulle condizioni in cui tale lavoro oramai si esplica, ovvero sui meccanismi che hanno prevalso, improntati al più sfrenato liberismo: competitività cieca tra singoli e gruppi, publish or perish, finanziamenti a progetto, retorica dell’”eccellenza”, eccetera. Ma la ricerca non vive solo di risultati “straordinari” bensì anche e soprattutto di gestione ordinaria, di piattaforme ampie e solide per la trasmissione delle conoscenze acquisite, di partecipazione e di scambio, di libertà di pensare e ripensare e provare a cambiare metodi e paradigmi. Ritenere che si possa conservare un livello alto di conoscenze e dunque di cultura in una società che nega l’importanza del lavoro scientifico di routine, che arriva a chiudere l’accesso in termini di impiego fisso per il lavoro e gestione ordinaria di istituti, laboratori, università, eccetera, è semplicemente stupido.

21 Luigi Berlinguer e la riforma Gelmini: collaboriamo”, sul Corriere della Sera del 2 dicembre 2009.

22 Sul Sole 24-ore del 1 dicembre 2009.

23 http:// www. youtube. com/ watch? v= y71 qM-AjtQU .

24 Ricordiamo i fascisti nel 1968, quando alla Sapienza di Roma tiravano i banchi da Giurisprudenza sulla testa degli studenti; quelli che il 1 febbraio 1977 entravano nella stessa università sparando e ferendo Guido Bellachioma e Paolo Mangone; quelli del 29 ottobre 2008, fatti infiltrare da un lato di Piazza Navona con cinghie e mazze tricolore dentro la grande manifestazione studentesca; e non dimentichiamo nemmeno il dito medio alzato dalla Santanché contro gli studenti mobilitati contro la Moratti il 25 ottobre 2005.

L'esperienza di Stalin va valutata in maniera storiograficamente scientifica, non propagandistica!

Il 5 marzo 1953 moriva a Mosca Josif V. Stalin. Due giorni prima della scomparsa un comunicato ufficiale aveva informato l'Urss e il mondo sulle gravi condizioni di salute del Segretario generale del Pcus e del Presidente del Consiglio dei ministri sovietico, colpito il 1 marzo da una apoplessia che non lasciava speranze. Per gli operai, i contadini colcosiani, le masse popolari dell'Unione sovietica quelli furono giorni di sentito e profondo dolore, così come lo furono per gli sfruttati e gli oppressi del mondo intero. Le manifestazioni di sincero cordoglio riunirono milioni di proletari nell'affetto e nella stima per Stalin. Per tre giorni una fila sterminata di persone si rec, incurante del freddo intenso dell'inverno russo, a rendere omaggio alla salma del grande dirigente e maestro del proletariato internazionale, esposta nella Sala delle colonne del Palazzo dei Sindacati. Questo ultimo e partecipato saluto, fu l'espressione spontanea e sincera della fiducia e dell'autorevolezza di cui Stalin godeva. Sentimenti questi, che egli aveva saputo conquistarsi e infondere nel proletariato mondiale attraverso il corso di una vita interamente dedicata al suo popolo, alla costruzione e al consolidamento del socialismo in Urss, all'affermazione del marxismo-leninismo e del socialismo in tutto il mondo.La sua vita è stata un esempio concreto e incancellabile di dedizione alla causa della classe operaia e della rivoluzione. Una vita in cui egli ha sempre anteposto l'interesse del popolo a quello personale, spesso sacrificando se stesso e i suoi affetti familiari più cari, vivendo in maniera semplice e lavorando prima, durante e dopo la Rivoluzione d'Ottobre senza mai risparmiarsi. Come non ricordare ad esempio, le sofferenze patite nei periodi di prigionia in Siberia che lo minarono nel fisico, ma non certo nei suoi propositi e nei suoi ideali; la sua fermezza nel rimanere al Cremlino, mentre il governo si trasferiva in un luogo più sicuro allorché le armate degli invasori nazisti giungevano alle porte di Mosca; o ancora la tragedia che lo accomun a migliaia di genitori di soldati sovietici per la morte del figlio Jakov, catturato e poi ucciso dai tedeschi e per il quale egli rifiut ogni trattativa col nemico nazista perla sua liberazione. Questa sua vita, questo esempio forte e luminoso che egli ha rappresentato, niente e nessuno potrà mai riuscire a scalfire. Stalin è stato senza alcun dubbio un grande marxista-leninista e un grande maestro del proletariato internazionale, un combattente proletario rivoluzionario che ha profuso tutte le sueintense energie e le sue capacità nella lotta per l'affermazione del socialismo e la sua concreta realizzazione.I fatti della storia, l'azione degli uomini in essa, le forze e gli interessi che vi sono coinvolti, gli sviluppi e i nuovi scenari che essa propone vanno analizzati, capiti e giudicati in modo corretto per poter essere d'insegnamento e spingere verso un nuovo e superiore progresso. E il solo modo corretto di analisi è quello dialettico, l'unico che permette di non impantanarsi e cadere nell'astrazione, nell'apriorismo e nell'idealismo.Per i marxisti-leninisti l'opera di Stalin è stata un'opera titanica che travalica i confini dell'Urss, per espandersi in Europa e nel resto del mondo. Un'opera realizzata in prima persona dalla classe operaia e dal proletariato e che ha permesso nel corso di numerose e diverse battaglie che a vincere fossero sempre il popolo, il socialismo ed il progresso.Questa sua opera ha tra i suoi capisaldi:- la costruzione del socialismo in Urss, primo Stato al mondo a vedere concretamente realizzato il progetto per cui avevano lottato Marx, Engels e Lenin;- l'unità e lo sviluppo dei Partiti comunisti di diversi continenti nella III Internazionale;- la vittoria sul nazifascismo e l'annientamento degli eserciti invasori di Hitler e Mussolini;- la nascita di nuovi Stati socialisti in Europa e in Asia.Tutto ci è stato realizzato in nemmeno trent'anni, uno spazio temporale assai breve e soprattutto in una situazione che non ha precedenti nella storia. Stalin ha infatti operato in condizioni assai complesse e difficili. Tali erano infatti le condizioni della Russia sovietica all'indomani della vittoria della Rivoluzione d'Ottobre. Un paese schiacciato dal peso della secolare autocrazia zarista, devastato dalla I guerra mondiale, aggredito congiuntamente dai più potenti eserciti imperialisti. Un paese appena uscito da una sanguinosa guerra civile scatenata dai nemici interni ed esterni del potere sovietico e che rimaneva solo, senza appoggi di altri Stati ed anzi assediato dal blocco politico-economico imperialista.La Russia sovietica era il primo paese in cui aveva trionfato la rivoluzione socialista. Il suo cammino iniziava senza che vi fosse un'esperienza a cui poter fare riferimento ed in condizioni socioeconomiche veramente tremende. Un'economia prevalentemente agricola praticamente al collasso; un settore industriale marginale e per di più quasi completamente distrutto; la mancanza pressoché totale di elettricità, di una rete di trasporti e di attrezzature tecniche di sfruttamento delle materie prime.Partire da queste condizioni e in un trentennio costruire, contando esclusivamente sulle proprie forze, uno Stato basato su un'economia e su rapporti sociali completamente nuovi e che è stato in grado di resistere e sbaragliare l'aggressione nazifascista basata su una possente forza militare, dà il segno concreto di quanto grande sia stata l'opera compiuta da Stalin, ma soprattutto di come questa grande opera si sia potuta realizzare.Essa è stata il frutto concreto del duro lavoro basato sulla volontà, lo spirito di sacrificio, la piena consapevolezza degli obiettivi da raggiungere e dell'unità delle classi e dei ceti sociali andati al potere con la Rivoluzione d'Ottobre. Il frutto del lavoro del proletariato sovietico e della salda alleanza tra la classe operaia, i contadini poveri e medi che hanno dato vita al movimento colcosiano, la gioventù sovietica, i nuovi tecnici e ricercatori forgiati dal potere sovietico. L'avanguardia del proletariato sovietico, il Partito comunista di Lenin e di Stalin, fermamente ancorato al marxismo-leninismo, è stata la guida riconosciuta dal popolo sovietico in questa impresa straordinaria: la costruzione del primo Stato socialista nel mondo.

mercoledì 10 marzo 2010

Il Crati è in piena! Dove stanno Berlusconi e Bertolaso?

Continua l'emergenza mal tempo in Calabria, ma non si fanno vedere ne il Governo Nazionale ne tanto meno la Protezione Civile...

sabato 6 marzo 2010

ORA BASTA! Mobilitazione generale contro il decreto illegale






































Il governo ha varato in meno di mezz’ora un decreto legge che riammette le liste di centrodestra nel Lazio e in Lombardia. Il Capo dello Stato non fa nemmeno finta di pensarci un po’ e, a tempo di record, firma e avalla!

Questa non è più la nostra democrazia. Non è più la Repubblica democratica nata dalla Resistenza. Questo è uno Stato fascista in cui il Presidente del Consiglio, come un ducetto, cambia a suo piacimento ogni giorno le regole democratiche e in cui il Presidente della Repubblica fa la parte del re Vittorio Emanuele III: è il fantoccio al servizio del regime.
Ora basta. Serve la mobilitazione di tutti i comunisti, di tutti i democratici, di tutte le donne e di tutti gli uomini di buona volontà, sin da questa notte.

Lavoriamo, innanzitutto noi Giovani Comuniste/i, perché domani nel Paese ci sia la più ampia e massiccia mobilitazione popolare contro questo abominio.

L’appuntamento centrale è per le ore 11 davanti a Montecitorio.

Contestualmente, organizziamo davanti a tutte le prefetture sit-in e manifestazioni. Non risparmiamoci: è una battaglia vitale.

GIOVANI COMUNISTE/I

sabato 27 febbraio 2010

Luzzi si racconta in terra lombarda

Il Villaggio Calabria ha svelato i suoi padiglioni con una serie di offerte turistiche e percorsi culturali, che hanno portato al pubblico internazionale “strade nuove” di un territorio ricco non solo della sua natura ma di una storia altrettanto imponente. L’edizione 2010 ha segnato il traguardo dei trent’anni per quest’appuntamento internazionale ospitato nel padiglione 7 del polo fieristico di Rho, sobrio ed elegante. Integrata nell’itinerario delle Antiche Terre e presente per il terzo anno consecutivo la cittadina di Luzzi con la sua storia, la cultura, i monumenti, le tradizioni e la gastronomia di una terra e di un popolo antico e che ha confermato la sua naturale vocazione al turismo soprattutto religioso con il centro cistercense della Sambucina ma anche con le eccellenze in campo economico. E’ il calzaturificio Cesare Firrao la realtà imprenditoriale più forte e che ha attirato ancora una volta il grande interesse dei visitatori, come anche l’autoctono San Vito di Luzzi delle cantine Vivacqua uno dei vini capisaldi della prossima etichetta “Terre di Cosenza”. Dire di essere soddisfatti per sindaco e assessore è sminuire il ruolo che ormai Luzzi si è ritagliato nel panorama turistico nazionale e, infatti, il riscontro di tour operator e pubblico internazionale anche per questa edizione garantiscono un ritorno di immagine che ben presto vedrà i propri risultati con l’arrivo della bella stagione. L’attenzione avuta per Luzzi da visitatori noti, come il musicista Tullio de Piscopo e il critico d’arte Vittorio Sgarbi hanno confermato come la nostra Regione attraverso il turismo può veramente decollare. La pensa così, Manfredo Tedesco sindaco della cittadina della Media Valle del Crati per il quale incontrare per il terzo anno consecutivo gli operatori turistici internazionali rappresenta un caposaldo per la comunicazione di un territorio dalle mille risorse. E il convegno “Calabrie D’uve” ne è stato un esempio. Infatti nella sala convegni del Villaggio Calabria alla presenza di Damiano Guagliardi assessore regionale al turismo, di Maria Rosa Vuono assessore al comune di Cosenza, Gennaro Convertini presidente Ais regionale, e Anna Sacco funzionario della Camera di Commercio di Cosenza si è tenuto un confronto proprio per promuovere il turismo enologico. Manfredo Tedesco ha posto l’accento su come può essere importante per la città di Luzzi fregiarsi di un autoctono come Vivacqua che può aprire percorsi interessanti attraverso l’enogastronomia.

venerdì 26 febbraio 2010

1° MARZO- UNITI CONTRO IL RAZZISMO E LO SFRUTTAMENTO






UNITI CONTRO IL RAZZISMO E LO
SFRUTTAMENTO
1° MARZO
GIORNATA DI LOTTA PER I DIRITTI E LA DIGNITÀ






Noi, donne e uomini di ogni paese. Noi, immigrati, italiani, figli di immigrati e di emigranti; noi sappiamo che le immigrate e gli immigrati hanno arricchito l’Italia con la loro cultura e il loro lavoro.
Noi rifiutiamo le proposte dei politici che vogliono criminalizzare gli immigrati.
Noi rifiutiamo le politiche razziste che colpiscono gli immigrati per poter sfruttare meglio loro e gli italiani che lavorano.
Siamo indignati perché negli ultimi anni sono state approvate leggi razziste che negano i principi dei diritti umani. Leggi in contrasto con la Costituzione Italiana, che prevede uno stato democratico, senza discriminazioni di “razza, sesso o religione”.
Per questo abbiamo deciso che il 1 marzo deve essere una giornata di lotta.
Una giornata per protestare, informare, sensibilizzare e parlare.
Una giornata per chiedere il rispetto del diritto di ogni essere umano ad una vita dignitosa.
Una giornata per aiutare le immigrate e gli immigrati a capire che i diritti non si ottengono per “concessione” ma grazie alla consapevolezza, alla mobilitazione ed alla lotta.
Una giornata per aiutare gli italiani a capire che gli immigrati non sono i loro avversari; a capire che gli immigrati hanno i loro stessi bisogni e i loro stessi problemi.
I nemici degli italiani e degli immigrati sono gli stessi: gli speculatori, le mafie, i politici senza scrupoli che vogliono mettere i poveri contro i poveri, per meglio sfruttarli.

Per tutti questi motivi chiediamo di sostenere, con coraggio e dignità, questi obiettivi
  • il diritto al lavoro, alla casa, alla salute per tutte e tutti.
  • il ritiro del pacchetto sicurezza
  • slegare il permesso di soggiorno e il contratto di lavoro.
  • il rispetto dei diritti delle rifugiate e dei rifugiati.
  • il mantenimento del permesso di soggiorno per chi ha perso il lavoro.
  • l’accoglienza di tutte e tutti e la chiusura dei CIE.
  • la solidarietà a tutti i lavoratori in lotta per la difesa del lavoro.

I GIOVANI COMUNISTI DI LUZZI IN PRIMA LINEA NELLA LOTTA AL RAZZISMO


mercoledì 24 febbraio 2010

Il compagno Borchetta del circolo di Luzzi nel coordinamento nazionale GC!


E' con viva soddifsazione che i Giovani Comunisti della sezione di Luzzi, annunciano l'ingresso nel coordinamento nazionale GC del compagno Camillo Borchetta. Inoltre la tre giorni congressuale di Pomezia, ha eletto i nuovi portavoce dei GC nelle persone del compagno Simone Oggionni della federazione di Bologna e della compagna Anna Belligero della federazione di Bari.

L'elezione del compagno Borchetta nella massima assise nazionale dell'organizzazione giovanile, è solo il culmine di un lavoro di radicamento portato avanti ormai da anni da tutti i ragazzi della sezione di Luzzi. In un momento i cui la politica tutta è in grave crisi, in cui a farla da padrone sono gli elementi populisti e antipolitici, noi riteniamo che i risultati raggiunti dall'opera dei GC di Luzzi (tra i tanti, il coinvolgimento nella politica attiva dei giovani e giovanissimi iscritti, il dibattito aperto e paritario che si è instaurato tra la parte giovanile e resto del partito, la rappresentaza del circolo negli organi provinciali e nazionali) siano veramente eccezionali.

Al compagno Borchetta un augurio di buon lavoro, mentre ai compagni di tutta Italia, in particolare a quelli delle aree "l'Ernesto" ed "Essere Comunisti", che hanno partecipato alla tre giorni congressuale, i compagni di Luzzi inviano il loro più caloroso saluto!

Viva i Giovani Comunisti, viva il Comunismo!



DOCUMENTI DELLA IV CONFERENZA DEI GIOVANI COMUNISTI

Documento politico finale approvato dalla IV Conferenza Nazionale, firmatari Oggionni e Belligero

Presentazione del Primo Documento di Francesco D'Agresta

Intervento conclusivo di Simone Oggionni

Odg sull'imperialismo

Odg sulle alleanze