Un’altro caso di informazione superficiale. Con prove insufficienti, senza approfondimento e con una buona dose di scandalismo si diffondono notizie di ogni tipo. Questa volta tocca a Rifondazione comunista.
Se non fosse per il fatto che è stato pubblicato su uno dei più diffusi quotidiani nazionali, con addirittura un ‘richiamo’ in prima pagina, l’articolo comparso su ‘La Repubblica’ e relativo ai presunti rapporti tra dirigenti di Rifondazione e i guerriglieri delle Farc, Forze armate rivoluzionarie colombiane, avrebbe il sapore di uno scherzo. Invece non è una burla e il fatto ha assunto i contorni di un piccolo caso politico. Con tanto di reazioni, smentite e annunciate interrogazioni parlamentari per chiedere spiegazioni.
In un lungo articolo, intitolato “Così Rifondazione aiutò i rapitori della Betancourt”, argomento poi scomparso nel testo, il giornalista racconta dell’importante ruolo che il partito di sinistra, adesso fuori dal Parlamento, ma al governo all’epoca dei fatti narrati, avrebbe avuto nel sostenere le Farc. “Emergono appoggi espliciti, raccolta di fondi e scambio di informazioni. Un rappresentante in Europa dell’organizzazione “ricoverato in Svizzera a spese del partito”, scrive ancora il giornale, citando un fantomatico “Dossier del governo colombiano sui rapporti Prc-Farc”.
Tuttavia, non vengono fornite prove e non si spiegano le modalità attraverso le quali ‘la Repubblica’ sarebbe venuta in possesso dell’informazione. Il quotidiano scrive solo che alcune e-mail inchioderebbero il partito, insieme ed altri non meglio precisati “documenti”. Il tutto rinvenuto “nei computer di Raul Reyes, il numero due della guerriglia ucciso il primo marzo”.
Prima di entrare nel merito delle accuse mosse a Rifondazione, è bene aggiungere alcuni elementi omessi dal quotidiano romano.
Il computer in questione è diventato, da alcuni mesi a questa parte, una vero e proprio “pozzo di San Patrizio”, dal quale il governo colombiano continua a tirar fuori innumerevoli ‘prove’, utili per ‘smascherare’ esponenti politici locali e internazionali scomodi. Il cilindro magico digitale appartenuto a Raul Reyes fu recuperato, narra la leggenda, durante una poco chiara operazione militare dei servizi segreti americani in territorio ecuadoriano, che per poco non fece scoppiare una guerra tra Ecuador, Venezuela e Colombia.
L’esecutivo di Bogotà ha attaccato, grazie ai documenti trovati nel pc, il presidente venezuelano Hugo Chavez, il suo omologo ecuadoriano Rafael Correa, la senatrice colombiana Piedad Cordoba (fiera oppositrice del governo e convinta sostenitrice del dialogo con la guerriglia per mettere fine ad un conflitto terribile), il governo del Brasile, Jean-Pierre Gontard, diplomatico svizzero adoperatosi come mediatore per la liberazione degli ostaggi delle Farc. In tutti questi casi a mettere con le spalle al muro i ‘collusi con la ribellione’ sarebbero state fantomatiche “e-mail contenute nel computer di Reyes” che, almeno a giudicare da quanto va emergendo, probabilmente passava le sue giornate a corrispondere via Internet con i quattro angoli del pianeta, piuttosto che a guidare una forza militare di 15-20mila uomini, da almeno 20 anni in grado di controllare quasi la metà del territorio colombiano.
La Repubblica ricorda che “l’Interpol…attesta l’autenticità dei 37.872 documenti e dei 983 archivi criptati contenuti in essi”, senza aggiungere però il parere di numerosi esperti e di almeno due governi, che hanno contestato la validità del presunto computer di Reyes. Il ministro degli Esteri ecuadoriano ha affermato: “Non è stata garantita la catena della custodia del materiale informatico esaminato” e per questo tutti i documenti “hanno perduto ogni validità giuridica e morale”.
Anton Thalmann, vice segretario di stato Svizzero agli Esteri, non sospettabile di simpatie per guerriglia e guerriglieri, ha annunciato “un’iniziativa diplomatica verso Bogotá per esigere che cessino i ripetuti attacchi a Gontard”, contestando l’esistenza stessa dei materiali incriminanti. In Italia invece si chiede di ‘indagare’.
Nell’articolo c’è un ‘divertente’ passaggio: “Ad un certo punto Gualdron (rappresentante delle Farc in Europa, secondo il quotidiano italiano, ndr) informa di denaro raccolto per le Farc da Rifondazione e lo invia (una volta mille, un’altra volta 400 euro)”.
Mille e quattrocento euro, spediti addirittura in tempi diversi.
Le Farc sono il più grande movimento armato dell’America Latina, da decenni tengono in scacco l’esercito nazionale e quello statunitense. Dal 1990, quando morì Jacobo Arenas, vero ideologo dell’organizzazione, hanno lentamente cominciato a perdere ‘l‘anima’ politica originaria, per trasformarsi in un gruppo armato delinquenziale. Da almeno vent’anni si sono arricchite prima con la ‘tassazione’ dei narcotrafficanti che operavano nel loro territorio, poi con il noleggio delle piste di terra battuta (nelle foreste di cui hanno il controllo assoluto) e dalle quali decollano aerei carichi di cocaina. Infine, secondo alcune fonti, sarebbero entrate direttamente nel narcotraffico. Insomma, gente da anni attivamente impegnata in uno dei commerci più lucrativi del pianeta si lascierebbe ’supportare’ con la cifra astronomica di 1400 euro. Tutto è possibile, ma è limportante anche la cautela.
E allora? Il punto è l’informazione italiana, ormai quasi del tutto incapace a riconoscere una notizia. I fatti sono non raramente gonfiati, ‘dopati’ (dall’inglese ‘to dope’, ovvero drogare), spettacolarizzati.
Notiziole al limite del ridicolo sono pubblicate dando credito a chiunque, purchè si possa strillare, fare gossip, favorire una polemichetta nel piccolo orto di una politica nazionale ai minimi storici.
Il punto non è quello di difendere i dirigenti di Rifondazione, possono farlo da soli, ma di essere realisti ed obiettivi. Il segretario, del Prc, Paolo Ferrero, sulla vicenda e senza fraintendimenti ha dichiarato: “Abbiamo sempre lavorato perché il processo di pace in Colombia riprendesse”.
Nella sinistra italiana accade sovente che per la politica internazionale (e non solo) si prendano posizioni con dosi elevate di ignoranza storica, accompagnate da un contorno abbondante ‘ideologismo’. Non è possibile negare che la ‘gauche’ del Bel Paese, in alcune sue componenti, scambi le Farc come ‘rivoluzionari’ romantici, senza sapere che invece sono un gruppo armato di ex-guerriglieri, ormai tagliagola allo sbando, rapitori e forse narcotrafficanti. Ma da questo a pensare che il Prc possa essere colluso con l’organizzazione colombiana e sulla base di un ‘finanziamento’ di mille e quattrocento euro ce ne corre.
Si dimenticano, invece, le operazioni “Decollo” e “Stupor Mundis”, condotte nel 2004 e 2007 dalle nostre forze di polizia, grazie alle quali sono stati dimostrati (senza ombra di dubbio o di interpretazione ideologica) gli stretti legami tra i cartelli della droga colombiani e le ‘ndrine’ (le famiglie della N’drangheta) calabresi.
Per non parlare poi di Salvatore Mancuso, capo delle famigerate Autodefensas unidas de Colmbia (Auc), unità paramilitari di destra, vicine all’attuale governo colombiano, considerate dalle Nazioni Unite tra i principali responsabili delle violazioni dei diritti umani nel paese sudamericano.
Mancuso continua a tutt’oggi ad avere passaporto italiano. Nato il 17 agosto del 1964 a Montera, nel nord della Colombia, da padre italiano originario di Sapri, il criminale è ricercato dalla procura di Catanzaro proprio nell’ambito dell’inchiesta seguita all’operazione “decollo”. Ma come ha ricordato il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso il 19 giugno 2007, in audizione di fronte alla Commissione Antimafia della Camera dei Deputati: “Mancuso si trova agli arresti domiciliari, a quanto pare dorati”.
Dei rapporti tra Italia e Colombia e del motivo per il quale non si riesce a far arrivare il ‘detenuto’ Mancuso nel nostro Paese per esser processato non si scrive. Ma questa è un altra storia.
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