sabato 14 marzo 2009

Strupro della Caffarella: quella corsa al colpevole che non fa bene alla giustizia

http://liberazione.it/giornale_articolo.php?id_pagina=64407&pagina=4&versione=sfogliabile&zoom=no&id_articolo=445113

Pietro Adami
Le ultime vicende di cronaca nera e giudiziaria impongono una riflessione. Da dieci anni a questa parte, i casi di cronaca nera di maggiore risonanza si concludono, sempre, con un processo. Le indagini si chiudono, sempre, con un colpevole presunto. Mai con l'ammissione che non si è fatta luce sul caso. E' un dato statistico piuttosto sorprendente. Soprattutto se confrontato con gli anni precedenti.
Mi spiego. Fino al 1997, in Italia vi sono stati innumerevoli "gialli". Definisco così i casi di cronaca nera seguiti assiduamente dalla stampa. Dai celebri gialli anni '50 e '60 (delitto di Torvaianica etc), fino ai più recenti "Giallo di Via Poma", "Giallo dell'Olgiata", etc. Caratteristica di quasi tutti questi casi è la chiusura delle indagini senza una richiesta di rinvio a giudizio. Ciò significa che le indagini si sono chiuse e gli inquirenti hanno riconosciuto che, dagli elementi in loro possesso, non era possibile accusare qualcuno del delitto. Ricordo le critiche, pesanti, piovute su magistrati e forze dell'ordine.
Da un certo momento in poi, le cose sono cambiate. La polizia ha smesso di brancolare nel buio, definitivamente. Oggi è impensabile che "non si trovi un colpevole". Quando un caso di omicidio viene seguito dalla stampa, e quindi diventa un Giallo, il colpevole è sempre individuato, ed il processo si svolge sempre. In nessun caso vi è la serena ammissione che non si sa chi sia stato a commetere il delitto o che non ci sono prove. Questo non avviene mai. Ciò che colpisce è soprattutto il modo in cui vengono messi insieme i pezzi, da parte degli accusatori, componendo e ricomponendo il mosaico, fintanto che non esce fuori una "storia". Spesso nel corso delle indagini si materializzano diverse "storie"; spesso si azzardano ipotesi totalmente incredibili. Anche questo è un tema rilevante. Viene ricercata una credibilità "onirica" più che reale. Non c'è bisogno che la storia possa realmente essere accaduta; l'importante è che sia verosimile nel mondo del fantastico ricostruito: nel mondo immaginato collettivamente, piuttosto che in quello reale.
L'anno di svolta è il 1997. Il caso: Marta Russo. L'intera città di Roma provò un brivido di sgomento per quella morte assurda. Si proveniva da anni di indagini andate a vuoto. Il desiderio collettivo che si trovasse il colpevole era enorme. Alla fine, Scattone e Ferraro, assistenti di filosofia del diritto, sono accusati e condannati per omicidio colposo. Ma ai nostri fini, quello che importa è che in un primo tempo si disse che, in quanto filosofi, avevano voluto compiere il "delitto perfetto". E' la prima delle Storie Inverosimili della recente cronaca. Fino a quel momento, il nostro paese aveva conosciuto i drammatici depistaggi degli anni della strategia della tensione. Ma erano depistaggi volontari, storie da proporre all'opinione pubblica con finalità predeterminate. Nel Giallo di Marta Russo avviene qualcosa di diverso, non ignoto alla storia: pregiudizi e paure collettive (...la paura dei filosofi...) prevalgono su quel minimo di verosimiglianza che una ricostruzione dovrebbe avere. Una sorta di moderna Storia della Colonna Infame. E la stampa si accoda (con lodevoli eccezioni, vedi il libro di Giovanni Valentini "Il mistero della Sapienza - il caso Marta Russo" - Baldini & Castoldi). Non è possibile entrare qui nei dettagli del caso, e neanche è rilevante. Ciò che conta è che con il caso Marta Russo si intraprende una strada pericolosa. La strada per cui la "storia" precede i fatti, e naturalmente le prove passano in secondo piano. Oggi, su quella strada si sono fatti molti passi.
Non voglio parlare del "Caso della Caffarella". Troppo oscuro, troppo caldo per farsi un'idea di cosa sia successo realmente. Preferisco restare su casi in cui le indagini si sono concluse. Si pensi alla triste vicenda di Meredith, ed alle accuse rivolte al povero Lumumba. Lumumba è quel ragazzo che in un primo tempo viene considerato parte del "terzetto satanico". Poi è scagionato da sedici testimoni tra cui un professore svizzero. Voglio essere chiaro: Lumumba è stato veramente fortunato e si è salvato per miracolo; poteva essere processato e forse anche condannato. La forza narrativa della storia avrebbe travolto perfino i testimoni. Certo, non sedici tra cui, sottolineo, il professore svizzero.
Le storie, nei processi (e nel circolo perverso tra processo ed informazione), regnano e condizionano i fatti. Il processo, e le indagini, non sono più (solo) il luogo della ricerca della verità, sono il luogo dove una buona storia vince su tutto: vince sulle prove, vince sulla credibilità; figuriamoci sulla presunzione di innocenza. Se sei dentro una storia calda, coinvolgente, romanzesca, sei nei guai. Nel caso di Perugia non si misurano solo accusa e difesa. Ci sono due storie in competizione: una, che vede coinvolto il solo Guedè, è desolante, squallida, triste. Lui entra e la uccide. L'altra è una storia forte e solletica gli istinti. E' la storia del terzetto satanico, della ridda erotica che non si ferma. Tra le due storie non c'è confronto. Il problema è che, viceversa, la realtà è più spesso semplice e squallida, che romanzesca.
Lasciamo da parte i singoli casi e torniamo all'esame del fenomeno globale, che appare evidente. Vi è una tendenza diffusa: alla fine qualcuno va accusato. Almeno, tu, investigatore, il tuo dovere l'hai fatto. Hai indicato il colpevole. Poi ci saranno i processi, poi magari gli imputati saranno assolti. Ma avverrà molto dopo, molti anni dopo. Quando il caso sarà quasi dimenticato e, comunque, l'assoluzione andrà sul conto dei giudici, degli avvocati, del sistema lento e dell'eccesso di garantismo. Non solo. Il colpevole va trovato in fretta, quando la pressione è forte. Poi magari si sostituisce con un altro (esce Lumumba, entra Guedè, ma il "terzetto satanico" resta). Lume e guida dell'indagine è l'ipotesi (la Storia). Storia che, disinvoltamente, viene aggiornata nel corso delle indagini, ma che alla stampa viene presentata, nell'ultima versione, sempre come vera e dimostrata.
Forse allora tra le cose spiacevoli, che questa società deve cominciare ad accettare, ci deve essere quella per cui alcuni casi, purtroppo, si chiudono senza un colpevole, senza un accusato, senza un processo. E che è meglio così. Perché, almeno, l'omicidio non abbia due vittime.

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