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Claudio Grassi
L'ultimo lavoro di Gianni Fresu ( Lenin lettore di Marx , La Città del Sole, 253 pp.) ha diversi meriti. Il primo è senz'altro di tipo didattico: non capita spesso di avere tra le mani un libro che, con semplicità e, al contempo, rigore accademico, ricostruisce per i lettori (in primo luogo per i più giovani) oltre un secolo di dibattito teorico (filosofico e politico).
Il tema affrontato, lungo i tre capitoli di cui si compone il libro, è - essenzialmente - il rapporto tra l'opera di Marx e gli scritti di Lenin, analizzato sotto la lente prospettica della continuità che lega il secondo al primo e che, insieme, connette Lenin e Marx (da Lenin letto tramite quest'ultimo) a Hegel.
Ma ci inganneremmo se pensassimo al testo di Fresu soltanto come ad un'opera di critica filosofica. La tensione che anima le pagine di Lenin lettore di Marx è pedagogica e politica. A vent'anni dal crollo dell'Unione Sovietica tutto il pensiero marxista è oggetto di una condanna sommaria e definitiva che sta rischiando di condurre - insieme al rifiuto di analizzare seriamente in sede storiografica le esperienze storiche del socialismo reale - alla completa cancellazione della tradizione interpretativa comunista. In ambito accademico e finanche nelle analisi teoriche dei gruppi dirigenti della sinistra, introiettando il giudizio dei vincitori, secondo cui il Novecento altro non sarebbe che il «secolo degli orrori» e Lenin - come scrive Fresu - la «origine del peccato».
Qui si colloca il secondo merito del lavoro di Fresu, il quale recupera e riporta alla luce una pagina importante del secolo «rimosso», sottraendo Lenin alla vulgata che lo vuole teorico «dottrinario» e «ortodosso». Al contrario, Fresu dimostra come l'intera opera di Lenin (sia le opere strettamente filosofiche, come i Quaderni filosofici , sia gli scritti politici, a cominciare dal Che fare? ) metta in rilievo la notevole complessità e capacità innovativa di Lenin.
Questo è il punto dirimente: dal momento che la rimozione del Novecento (e quindi anche di Lenin) passa per la sua banalizzazione, Fresu ci insegna che l'arma che abbiamo è la complessità. E nell'opera di Lenin (meglio: nella sua concezione filosofica del mondo) c'è una capacità di ragionare e analizzare il reale profondissima.
In questo senso si spiega il rifiuto leniniano del revisionismo e del determinismo volgare, del meccanicismo positivista della Seconda Internazionale. Un rifiuto che è politico (perché si definisce sul terreno della critica all'approdo parlamentarista e socialdemocratico dei suoi maggiori teorici, da Bernstein a Kautsky) ma anche filosofico, perché ricolloca al centro la dialettica (di matrice hegeliana, appunto), la quale è sempre strumento di critica.
Nel processo dialettico (anzi: nell'unità dialettica del rapporto tra soggetto e oggetto) acquista rilievo il momento della coscienza oggettiva, determinata dall'intervento consapevole del soggetto nel processo oggettivo. Solo così è possibile attingere alla dimensione totale dei processi e comprendere, di conseguenza, le relazioni concrete tra i fatti e gli eventi. L'oggetto della conoscenza è la realtà concreta, il carattere fenomenico dei processi reali, non un'idea astratta. Ed il partito comunista è lo strumento di una coscienza oggettiva che si determina sul terreno materiale della società e nelle maglie delle sue contraddizioni. È per questo che Lenin non pensa al socialismo in via astratta, ma sulla base di rigorosi studi storici ed economici, addirittura statistici, intorno alla struttura concreta delle formazioni sociali.
Tutto questo ci dice qualcosa del presente? La battaglia leniniana contro il determinismo e, parallelamente, contro l'idealismo del piccolo produttore (l'utopia di potersi collocare, idealisticamente, al di fuori dei rapporti sociali di produzione) non riguarda anche noi? Non riguarda anche la nostra battaglia ideologica contro quel pensiero debole e post-moderno che teorizza la fine della Storia e del lavoro e l'avvento dell'epoca delle moltitudini auto-organizzate e delle organizzazioni leggere?
Se ci pensiamo bene cambiano i tempi ma gli interrogativi di fondo rimangono gli stessi. La critica leniniana dell'empiriocriticismo e della sua «mistica malsana» è la critica - attualissima - di una concezione del mondo (che oggi chiamiamo «relativismo») che esclude la possibilità di una conoscenza oggettiva e depotenzia, nella tematizzazione di un soggetto puramente astratto, le potenzialità rivoluzionarie del soggetto sociale.
Rileggere Lenin (e il Marx di Lenin) è allora utile. È un antidoto contro il soggettivismo (e cioè l'idea che il soggetto, non potendo conoscere, non è artefice del proprio destino) e contro la tendenza, diffusa a sinistra, ad introiettare le ragioni culturali della sconfitta.
Rileggere Lenin attraverso le pagine del libro di Gianni Fresu è, oltre che utile, un'attività piacevole, nel corso della quale il lettore potrà apprezzare una attenzione filologica rigorosa e una passione (un coinvolgimento politico nei testi e nei problemi) davvero inusuali.
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