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Dino Greco
Naturalmente, non ci passa per la testa di fare del governatore della Banca d'Italia il nostro mentore. Ma fa una discreta impressione ascoltare da quel pulpito l'eloquio, certo prudente e paludato, di un banchiere il quale ci rivela che ne vedremo delle belle, che la caduta occupazionale più pesante è di là da venire, che dunque è indispensabile una riforma organica degli ammortizzatori sociali tale da coprire l'universalità dei lavoratori subordinati, tutelandoli dal rischio della disoccupazione e favorendone il rientro nell'attività produttiva. Infine, che serve una politica di sostegno dei redditi più bassi perché la gente non ce la fa più e la contrazione dei consumi determina un contraccolpo pesante, tanto sulla coesione sociale quanto sull'economia. La quale si avvita a spirale e rischia di precipitare, nei prossimi mesi, in caduta libera. Il fatto è che gli attori oggettivamente chiamati in causa, il Governo, le banche, la Confindustria, stanno adottando comportamenti che, lungi dal costituire la soluzione del problema, ne preparano l'aggravamento. Il governo non sa adottare misure di qualche efficacia redistributiva e incoraggia le più viete pulsioni antioperaie del padronato. Le banche, mentre lesinano il credito alle imprese, a molti mesi dall'esplosione della crisi non riescono (non vogliono) far luce sulla dimensione dei titoli tossici presenti nei loro portafogli, alimentando nei risparmiatori un più che fondato senso di allarme e di sfiducia. Il sistema delle imprese, con in testa la Confindustria, invece di investire su un patto di solidarietà con il lavoro, punta tutte le sue carte sulla deflazione salariale, su un ulteriore impoverimento del sistema di protezione sociale, sulla cronicizzazione del precariato. E ancora, sulla rottura sindacale e sulla revoca del diritto di sciopero: un cocktail micidiale, foriero di conseguenze gravissime per la stessa tenuta democratica del Paese.
Eppure un'altra strada sarebbe praticabile. Si rammenti che l'Italia non è priva di risorse. Tutto il contrario. Ma il nostro è un Paese dove la forbice fra ricchezza e povertà si è allargata a dismisura, dove la dimensione dell'evasione fiscale e contributiva ha raggiunto - come ci ricorda l'Agenzia delle entrate - la cifra strabiliante di 250 miliardi di euro, qualcosa come il 20% del pil. Nei giorni scorsi, Liberazione è tornata ripetutamente su questo punto, documentando come le cospicue somme recuperate all'erario attraverso le attività ispettive (più di 6 miliardi di euro nel 2007), non rappresentino in realtà che una modestissima quota della stessa evasione accertata. Basterebbe (si fa per dire) che l'azione di contrasto e la capacità di riscossione divenissero più efficaci per mettere a disposizione dello Stato uno stock di liquidità di tali dimensioni da alimentare politiche redistributive, il potenziamento del welfare, il sostegno ad uno sviluppo di qualità.
Occorrerebbe conquistare il principio che l'evasione è un furto, un reato penalmente rilevante. Se ciò non avviene non è per ragioni tecniche, ma in virtù di precise scelte politiche e sociali. Non c'è altra plausibile spiegazione al fatto che gli enti preposti ai controlli continuino a non avvalersi delle banche dati disponibili presso l'Anagrafe tributaria centrale. O che persista, ineffabile, il rifiuto dei governi ad introdurre una tassa, anche di limitata entità, sui fantastici patrimoni di tanti strateghi dell'evasione e dell'elusione. E' di qualche significato che persino una modesta proposta, di valore più simbolico che sostanziale, come quella avanzata dalla Cgil di elevare di cinque punti il prelievo fiscale sui redditi superiori ai 150 mila euro, abbia suscitato la sdegnata reazione della Confindustria che senza percezione del ridicolo ha paventato nientemeno quel ritorno alla lotta di classe che essa vorrebbe continuare a praticare unilateralmente. Come si vede, la realtà è più semplice di quanto raccontano, con le terga ben al riparo, certi predicatori dei sacrifici altrui. Lo hanno capito le persone convenute a Roma venerdì scorso. Lor signori siano certi che torneranno.
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