di Marco Sferini
su Lanterne rosse.it del 04/05/2009
Quello che è francamente inaccettabile, che sprigiona ipocrisia da ogni lettera scritta è il comunicato dei ministeri, anzi dei ministri. Frattini e La Russa se la cavano tranquillamente con la tragica evenienza dei fatti che possono accadere in un teatro di guerra e liquidano così quello che è l'assassinio di una ragazzina di appena 12 anni ad Herat, dove le truppe italiane sono impegnate a "portare la democrazia", a vigilare sulla ricostruzione pseudo democratica di un paese come l'Afghanistan che non smette di essere un viceregno americano nella zona asiatica.
Tutto accade, dicono le ricostruzioni dell'Esercito e quelle afghane, per colpa della pioggia. Sulla Ring road accanto al comando militare di zona piove incessantemente e si vede appena ad un palmo dal naso. La macchina è una Toyota, dello stesso modello - strane coincidenze del destino - su cui Calipari e Giuliana Sgrena erano imbarcati per lasciare Baghdad e dove il funzionario di Sismi trovò la morte. I militari italiani vedono l'automobile che va a passo veloce e decidono che quel fatto desta sospetto, così la inseguono, provano a farla fermare con gli ordinari mezzi di segnalazione. Ma niente. Allora sparano con una mitragliatrice prima sull'asfalto, poi in aria e poi sul cofano. La macchina si ferma. E dentro restano una bambina morta, sua madre e l'autista. Nessun terrorista, nessun talebano attentatore o kamikaze di sorta. Un normale viaggio di una famiglia afghana che finisce in tragedia.
La Brigata Folgore, per bocca del generale Rosario Castellano, fa mille scuse e giura che incontrerà sia i familiari della bimba che il governatore di Herat.
Se mai ce ne fosse bisogno, questa ennesima vicenda dimostra la necessità di disimpegnare tutte le nostre truppe dai teatri di guerra e di riportarle sul sacro suolo patrio. Almeno non potranno più essere adoperate dalla Nato per gli scopi imperialistici degli Usa o incappare in "incidenti" come quello di cui stiamo parlando e che tutto è fuorché un incidente. Può sembrare tale, ma rientra invece nei normali controlli che vengono attivati quando un sospetto sobbalza nella mente di qualche soldato, di qualche graduato, insomma di chi sta lì a presidiare un territorio sempre più perso e in mano alla forze della guerriglia talebana ma dominato dalle strategie economiche americane e inglesi.
La presenza italiana in Afghanistan dimostra solamente che le occasioni per compiere degli errori non mancano mai e tanto meno in un ambiente dove la paura la fa da padrona, dove il terrore è all'ordine del giorno e dove solo un mitra spianato dà una qual certa garanzia di non vedere qualche guerrigliero avvicinarsi e diventare elemento ostile per l'occupante.
Occupante. Sì, siamo e rimaniamo un esercito occupante, truppe straniere che non sono gradite in un Paese dove la guerra continua e dove la parola pace è più di un ricordo, è qualcosa di mai avvertito in Afghanistan da decenni e decenni.
No, ciò che è accaduto su quella strada bagnata di Herat non è un incidente, ma una purtroppo costante sequenza di fatti che si ripetono ogni giorno e che solo quando ci scappa il morto vengono classificati - a seconda di chi sia la vittima - come "fuoco amico", "fatale e tragico errore", "lotta contro il terrorismo".
Ma non sarà che per la popolazione afghana ora, il vero terrore siamo noi? Sono le truppe di "liberazione"? Perché se muoiono dei soldati italiani i giornali online, le grandi corazzate dell'informazione aprono a cinque colonne sui siti e a nove sulla carta, mentre se muore una bambina di 12 anni per un "errore", la notizia finisce al quinto, sesto posto nella home page sia del Corriere che de la Repubblica?
Non è un errore ciò che è avvenuto ieri a Herat. E' un errore la nostra presenza ad Herat. E' un errore che paghiamo caro ogni giorno che passa, salvo leccarci le ferite confortandoci con parole di speranza: "in fondo siamo lì per portare la democrazia, per aiutare gli afghani". Con aiuti che essi non vogliono. Perché i mitra non danno alcun aiuto, perché sostengono solo il potere di altri e l'intromissione economica negli affari di un popolo che ha il diritto di gestirsi da solo.
Ma oggi nel nostro Parlamento non c'è praticamente nessuno che abbia il coraggio di una idea di pace, che la esprima con una interrogazione e che chieda il ritiro dei militari italiani dall'Afghanistan. Anche per questo le parole di Frattini e di La Russa fanno ancora più male. E allora deve tornare tra la gente un sentimento comune che richieda la fine della nostra presenza ad Herat. Deve riaccendersi il movimento per la pace, le nostre bandiere arcobaleno dai balconi: non sono una moda, ma un segnale preciso, deciso e forte per dire che questo Parlamento non rispecchia appieno la volontà popolare e che il popolo italiano si riconosce nella sua Costituzione e nei suoi articoli. Che non contemplano le mitragliatrici in missione di pace e le patetiche scuse dei ministri della destra.
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