mercoledì 20 gennaio 2010

La politica della paura (di Zvi Schuldiner)

delete the walls

Rosarno e la frontiera meridionale di Israele distano varie migliaia di chilometri, ma in fondo sono molto più vicine di quel che sembra. La notizia qui è che Israele costruisce un muri «anti-immigrati» lungo la frontiera meridionale con l'Egitto.
Nel 1989 molti hanno evocato «la scomparsa dei muri». La caduta della Germania comunista, il crollo del muro di Berlino sembravano aprire una nuova era, in cui l'espressione della libertà sarebbe stata un mondo libero dai muri che avevano imprigionato interi popoli. Non è stato così.
Nel settembre 2001 al Qaeda ha aiutato il regime di George W. Bush a costruire il decennio della paura.
In gran parte del mondo «sviluppato» la politica si è trasformata in politica della paura. Non si discute più dei mondi possibili preferiti ma di presunta lotta per la sopravvivenza. Grazie alla paura è più facile imporre un capitalismo svergognato, le guerre «sante» seminano morte ovunque, fiumi di sangue hanno rafforzato l'odio verso l'imperialismo in una delle sue fasi più sfacciate, e tutto questo ha aiutato a rafforzare la destra, nelle sue versioni moderata o sfrenata, in Italia come in Israele. Non solo la sinistra (radicale o moderata) ne sta pagando il prezzo, ma ogni forza socialdemocratica e elemento moderato è indebolita - e oggi paradossalmente sono i capri espiatori della crisi del capitalismo finanziario negli Stati uniti. In Francia, in Germania - forse domani in Spagna - la destra avanza perché è più facile formulare risposte basate sulla paura che riformulare reali alternative al capitalismo. Anche perché dalla caduta del muro di Berlino le sinistre, vere o presunte, sembrano aver accettato che l'unica logica, unico modello possibile è quello del mercato.
A Gerusalemme - la «eternamente unificata» - un muro invisibile ma reale separa israeliani e palestinesi. Nell'estate del 2005 il generale Ariel Sharon, allora primo ministro di Israele, ha inventato un altro mito, una menzogna che ha conquistato molti nel mondo occidentale: che Israele si ritirava dalla Striscia di Gaza. Un milione e mezzo di palestinesi hanno visto 8mila coloni israeliani ritirarsi dalla Striscia (appena 363 chilometri quadrati di territorio) e insieme hanno visto che continuavano a vivere accerchiati in una prigione. Dopo l'ultima guerra la situazione è ancora peggiorata, soldati israeliani da un lato, egiziani dall'altro sorvegliano la grande prigione che è Gaza.
Ora si tratta di un muro. Non che sia un'invenzione nuova, poiché da tempo avanza la costruzione di un altro muro di odio, che teoricamente separa Israele dai territori occupati palestinesi per garantire la lotta al terrore. Nella «sinistra» europea troppi hanno accettato la retorica della lotta al terrore, e sono stati incapaci di un'analisi critica del muro alzato dal governo israeliano.
I muri sono intesi a difendere la purezza - della nazione, della razza. L'«altro» - lo straniero, il nero, il musulmano, l'ebreo - minaccia la purezza, le nostre vite, è il terrorista di domani, negherà la nostra ebraicità o le qualità della nazione italiana. Era già successo in passato quando ebrei e omosessuali infettavano la purezza della razza ariana.
Il capitalismo globale rende inevitabili due fenomeni. Da un lato esporta lavoro in paesi meno sviluppati, dove il lavoro costa molto meno e si sfrutta di più, e così smantella fabbriche intere lasciando disoccupati a beneficio dei profitti degli imprenditori. Dall'altro «importa» manodopera a basso costo, gli «extracomunitari» che sono disposti a sobbarcarsi lunghe ore di lavoro, senza i normali diritti sindacali e con salari esigui anche se alti rispetto a quelli dei paesi da cui arrivano.
Parte della lotta sulla legalità o illegalità dei migranti nasconde un altro fenomeno: è necessario stabilire norme severe, così che poi si possa sfruttare meglio quanti non rientrano nelle norme ma, spinti dalla necessità, arrivano lo stesso, in barba alle leggi e alle polizie.
In Israele la «purezza» nazionale oggi è l'altra faccia della paura del terrorismo: non solo la sicurezza ma anche il futuro del «popolo ebreo». Il muro di odio separa Israele dai territori palestinesi mentre estende le frontiere del 1967 e legittima i numerosi coloni nei territori occupati. A Gaza, l'accerchiamento trasforma il milione e mezzo di abitanti palestinesi in detenuti con libera circolazione in una enorme prigione.
Intanto, alla frontiera meridionale, tra Egitto e Israele corre negli ultimi anni un fenomeno nuovo: sudanesi, etiopi e altri, in fuga da paesi africani per ragioni politiche o spinti dalla fame, attraversano l'Egitto e dopo varie odissee cercano rifugio e lavoro in Israele. Decine di queste persone sono state uccise dalle forze di sicurezza egiziane, ma migliaia ce l'hanno fatta e lavorano in mestieri semplici e subalterni... Ma cosa succederà alla sacra purezza della nazione, tanto cara agli integralisti e razzisti?
Ecco che il governo Netanyahu annuncia la soluzione, che avevano già approvato i governi precedenti: costruire uin altro muro su quella frontiera. La paura, la purezza della nazione e il capitalismo convergono in paesi che si difendono dall'«altro» anche se sono proprio loro che creano il fenomeno.
In Italia sembra che la 'ndrangheta abbia fomentato gli incidenti razziali, e mentre il ministro Roberto Maroni annuncia che il governo italiano ha «risolto in modo brillante un problema di ordine pubblico» il New York Times parla di un clima da Ku Klux Klan negli anni '60 negli Stati uniti.
In Israele un nuovo muro quasi non fa notizia. Amnesty e altri si rallegrano della promessa di Netanyahu che le porte si apriranno per i rifugiati politici. Ma la realtà dell'accerchiamento, un accerchiamento che ormai rinchiude tutti, in modo reale o virtuale, è la realtà del panico, la paura, la ricerca permanente della «sicurezza e purezza».

lunedì 11 gennaio 2010

Ma quale bluff! Questo è il sistema che ha ucciso Franco Nisticò

Ma quale bluff! Questo è il sistema che ha ucciso Franco Nisticò

I lavori del Ponte sono stati avviati – non per caso – in silenzio. Secondo l’opinione corrente, si tratta di un bluff. Impregilo ha in mano il contratto e la penale. Il trasferimento di denaro pubblico dalla collettività ai contractors appare inarrestabile. Ed il sistema che si basa sull’inefficienza e sull’arroganza procede senza ripensamenti, come dimostra un’agghiacciante lettera dell’ASP di Reggio Calabria sul caso di Franco Nisticò.

Bluff: nel gioco del poker, modo di procedere tale da far credere agli avversari di avere carte migliori di quelle effettive - Sabatini Coletti, Dizionario della lingua italiana

“Attraverso la stampa continuano ad esternarsi accuse indiscriminate di inefficienze”. Dopo la tragica morte di Franco Nisticò, l’Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria diffonde una nota che ricostruisce – dal proprio punto di vista – l’accaduto. Si tratta di uno degli autoritratti più involontariamente spietati che un qualsiasi potere abbia mai fatto di sé stesso.

“Per eccesso di zelo ed in via del tutto eccezionale”, il giorno precedente alla manifestazione si era adottata “la misura precauzionale di far stazionare un mezzo mobile di soccorso in prossimità dell’evento”. In realtà, si aspettavano anche 30 mila persone in uno spazio angusto. Per qualsiasi sagra di paese è normalissimo vedere almeno un’ambulanza ed unità della protezione civile. Il dispiegamento di mezzi “militari” era invece assolutamente sproporzionato.

Alle 15, circa 30 minuti prima del malore di Nisticò, “la Centrale Operativa della Questura di Reggio Calabria comunicava alla Centrale Operativa del 118 che la manifestazione era finita (‘l’emergenza è finita, l’ambulanza non serve più’) e, pertanto, si disponeva il rientro del mezzo”. I comunicati ufficiali della Rete No Ponte avevano chiaramente annunciato “un lungo pomeriggio, circa 8 ore di musica, teatro, spettacoli, proiezioni e artisti di strada…”. Ma anche usando semplicemente gli occhi, non sarebbe stato difficile notare almeno mille persone ancora presenti in piazza.

La risposta dell’ASP reggina somiglia terribilmente ad un’agghiacciante lettera dei medici calabresi in risposta alle accuse di malasanità, nello specifico bambini e ragazzine deceduti nelle corsie o per ambulanze arrivate in ritardo, oppure scandali come lo scioglimento della ASL di Locri, il delitto Fortugno, l’ipotesi di affidare la sanità regionale alla protezione civile, il sequestro dell’ospedale di Melito.

La Federazione regionale calabrese dell’Ordine dei medici scriveva nell’aprile 2008: “I recenti casi di presunta malasanità ed il conseguente tribunale mediatico messo in piedi contro i medici ritenuti responsabili hanno portato ad un clima che non ha precedenti nella storia della Calabria. […] Non è la responsabilità professionale in nodo della questione. I medici sanno bene cosa sia e come sia diventato difficile affermare e difendere quei suoi pilastri deontologici nel quotidiano battage mediatico che inculca nei pazienti e nei loro familiari il concetto che il risultato di una terapia debba essere, per forza, positivo e che qualora non lo fosse la responsabilità è, ovviamente, dei medici. Medici ai quali si chiede di soddisfare sempre e comunque il desiderio di vita e salute ad oltranza di una società fortemente influenzata da mode e messaggi da televendita, cosa certamente inconciliabile con la realtà delle conoscenze scientifiche…”.

Insomma, la colpa era della tv, possibilmente anche nel caso di Federica Monteleone, 16 anni, entrata in corsia per il più banale degli interventi (appendicite) ed uscita cadavere a causa di una scossa elettrica seguita da un black out. Un’ambientazione da Frankestein ed un impianto elettrico installato con la consueta sciatteria nell’ospedale Jazzolino, Vibo Valentia.

Ancora una volta, dopo la morte di Franco Nisticò, si è avuta la precisa sensazione di un potere ottuso, per nulla incline a mettersi in discussione, arrogante fino alle estreme conseguenze. Un potere multiforme, che significa navi dei veleni, cantieri eterni, dominio della mafia, politica clientelare e grandi opere. Franco Nisticò, poco prima del suo malore, stava denunciando il caso della statale 106: era presidente del comitato che ne chiede la messa in sicurezza. La via che costeggia lo Jonio, “rifatta” dalle grande imprese con la presenza delle ‘ndrine, è sempre più pericolosa. Il 3 gennaio la “strada della morte” ha fatto ulteriori vittime, tre giovani automobilisti morti per uno scontro frontale all’altezza di Cariati, nel cosentino.

La prima pietra ed il vicolo cieco

L’apertura dei cantieri in silenzio e senza clamori non è una sconfitta della Stretto di Messina. Non è una “bufala”. Se avessero voluto “mostrare carte migliori di quelle effettive” (è la definizione del dizionario italiano per il termine “bluff”), non avrebbero puntato su una “prima pietra” così dimessa. E’ evidente a tutti, tranne che ad alcuni attivisti, che un elemento simbolico troppo forte attira proteste, presidi, gesti forti, scontri e dibattiti nazionali. Crea quella che i sociologi chiamano una “finestra di opportunità” per il movimento e diventa l’apripista per uno scontro sul modello Val di Susa. La cerimonia seminascosta ha generato una serie di commenti a base di “bluff”, “bufale”, “balle”. Esattamente quanto serve a sopire la mobilitazione ("Se è tutto finto perché si agitano tanto?", hanno osservato i pro-ponte), favorire lo spreco di denaro pubblico, proseguire con un processo che ormai è stato avviato e che andava fermato prima. Il contratto con Impregilo oggi c’è, mentre tutti si sono concentrati sulla mancanza del progetto definitivo, che comunque sarà presentato tra pochi mesi. La penale a favore di Impregilo c’è, mentre tutti si sono preoccupati dei soldi mancanti, dimenticando i giochi di prestigio del project financing.

Non ha molto senso rallentare il processo o continuare a recitare il salmo del “tanto non lo faranno mai”. Un sistema che si basa sulla shock economy non teme i ricorsi, che saranno un’ulteriore ottima scusa per allungare i tempi e dare la colpa ai soliti ambientalisti. Attaccare Ciucci dal punto di vista dell’efficienza (“stanno lavorando male”) significa non capire che questo sistema si basa strutturalmente sul mancato funzionamento dei trasporti essenziali, della sanità, dei cantieri, oltre che sulla rigida divisione tra sudditi e potenti. E’ un sistema che giustifica gli inceneritori con l’emergenza rifiuti, le guerre col delirio antiterrorismo, le new town con le catastrofi naturali. E’ un sistema che è riuscito a trasformare anche l’ambiente in un’ulteriore occasione di business: tra studi, valutazioni, rapporti su cetacei ed opere collaterali “verdi” (tipo il ripascimento dei litorali) si è avuto e si avrà un’ulteriore spreco di denaro, che potrebbe invece servire a rendere sicure le colline messinesi che rischiano di venire giù ad ogni nuova pioggia. Parallelamente, si coprirà il disastro ambientale reale: “[Con i cantieri del Ponte], verranno scaricati milioni di metri cubi di materiale di risulta”, denuncia l’economista Guido Signorino. “Le discariche verranno realizzate in vallate, impluvi, zone urbanizzate. Aree dove piomberà l’impatto di 1.122.000 metri cubi di terra (pari a 75.000 camion). Parliamo di 538.000 metri quadri di aree interessate, l’equivalente di circa 90 campi di calcio”.

“Ci vuole più scienza e meno ideologia”, dice in una nota il comitato “Ponte subito”. Dovrebbe essere l’esatto contrario, se per ideologia si intende un sistema coerente di idee e non un cumulo di pensieri preconfezionati. Intanto il sistema ha una sua ideologia, quella delle PPP, della shock economy e del trasferimento di risorse dalla collettività ai “contractors”. Molti osservatori, invece, navigano a vista persi nel tecnicismo, pagando la mancanza di un insieme di idee che permetta di distinguere la politica dall`osservazione dell’esistente.

* da www.terrelibere.org

domenica 10 gennaio 2010

IMMIGRATI: TRIPODI (PDCI), GOVERNO SI VERGOGNI PER CLIMA ODIO E RAZZISMO

(ASCA) - Catanzaro, 8 gen - ''Che la situazione nella piana di Gioia Tauro fosse intollerabile, esplosiva, lo avevamo ribadito proprio due giorni fa, alla vigilia del vertice in Prefettura, a Reggio Calabria, presieduto dal ministro dell'Interno Maroni, invitandolo a dedicare un'ora del suo tempo per toccare con mano la problematica e, proprio ieri, in concomitanza con il vertice in prefettura, a Rosarno e' scoppiato letteralmente il caos''. Lo afferma Michelangelo Tripodi, assessore regionale della Calabria e segretario regionale del Pdci.

''Sparatorie, feriti, scontri tra immigrati africani e forze dell'ordine. Scene di guerriglia urbana intollerabili - dice Tripodi - per una societa' civile e conseguenza diretta della sconcertante e disumana politica, fondata sui respingimenti degli immigrati e sull'introduzione del reato di clandestinita', portata avanti dal governo Bossi-Berlusconi e personalmente dal ministro Maroni''.

''Siamo stati purtroppo tristi profeti di una situazione insostenibile e vergognosa - spiega Tripodi -. Quello che e' successo ieri e sta continuando a succedere oggi a Rosarno e' di una gravita' assoluta ed e' a dir poco disarmante e vergognoso che di fronte a tutto questo il ministro Maroni, proprio questa mattina, ha parlato di situazione difficile quella che si vive nella piana di Gioia Tauro, cosi' come in altre realta', determinata dal fatto che in tutti questi anni e' stata tollerata, senza fare nulla di efficace, una immigrazione clandestina che da un lato ha alimentato la criminalita' e dall'altro ha generato situazioni di forte degrado come quella di Rosarno''.

''Il ministro Maroni - prosegue Tripodi - dovrebbe letteralmente vergognarsi, cosi' come si devono vergognare tutti quei rappresentanti del governo Berlusconi e della vena secessionista della Lega Nord che stanno portando avanti un clima di odio e di razzismo diffuso in tutta Italia. Al ministro e al governo ricordiamo che innanzitutto quella che e' in vigore sull'immigrazione e la legge Bossi-Fini e che questa ennesima e sconcertante situazione che si sta consumando nella Piana di Gioia Tauro ripropone con agghiaccianti interrogativi la problematica dell'accoglienza e la convivenza degli immigrati in zone ad alto rischio criminalita' come quella di Rosarno''.

''Ferma restando la condanna per quanto di violento e' accaduto a Rosarno - conclude Tripodi - la problematica e' forte e bisogna affrontarla di petto e una volta per tutte altrimenti si rischia grosso''.